Il 2021 l’anno dell’ambiente e della Cop26
Rimandata a causa della Pandemia, la Conferenza delle Parti sul Clima ha rappresentato un evento di portata internazionale
“In principio fu la Terra” con queste parole la Genesi dona risalto alla creazione; e al di là del suo valore religioso o scientifico la Terra è il bene primordiale, imprescindibile e primario di cui ogni essere vivente dovrebbe avere cura. Tuttavia, non sempre questo bene ha ricevuto (e riceve) la cura necessaria; questo ha portato a fenomeni di portata mondiale che rischiano di compromettere la vita di tutte le creature viventi che la abitano. Scaturisce dall’importanza di tutelare il Pianeta e chi vi abita la Cop26; la Conferenza della Parti sul Clima voluta dall’ONU. Un evento che ha riunito la maggior parte delle potenze mondiali per cercare e mettere in atto soluzioni che possano migliorare le condizioni della Terra e arginare i danni provati dal cambiamento climatico e altri agenti inquinanti e distruttivi.
Dalla PreCop26 alla Youth4Climate
La decarbonizzazione e il riscaldamento globale sono gli argomenti sui quali si è dibattuto nel corso degli incontri preparatori alla Cop26. Sin dal primo incontro a Londra, nelle due giornate del 25 e del 26 luglio, i 51 paesi partecipanti hanno discusso sui nodi cruciali sui quali i negoziati sono sempre rimasti bloccati: finanziamento e trasparenza. La riduzione di emissione di gas serra, i mercati del carbonio e il calendario dell’attuazione degli impegni sono stati sin dall’inizio i temi più caldi e sempre parzialmente irrisolti.
Ad un mese dall’inizio della Cop26 si è tenuta a Milano la PreCop26; un incontro nel quale la spinta verso i negoziati e il raggiungimento di soluzioni condivise ha fatto da canale portante. Del resto, è stato evidente come nell’ultimo biennio, solcato dalla Pandemia, la consapevolezza sulla crisi climatica ha attraversato tutte le nazioni; tuttavia, non tutti i paesi si sono mostrati in grado di far fronte allo stesso modo e con gli stessi mezzi alla situazione e questo ha portato alle trattative sempre più intense. Uno dei punti cruciali è rimasto la consapevolezza che, degli oltre 200 paesi al mondo, non tutti possano eseguire la transizione ecologica con la stessa tempistica; proprio per questo l’istituzione di fondi che garantissero una visione d’insieme è apparsa fondamentale sin dall’inizio delle trattative.
I giovani attivisti della Cop26
Anche i giovani sono intervenuti negli atti preparatori alla Cop26 e, durante la Youth4Climate, in cui i giovani delegati di tutto il mondo si sono riuniti per fornire proposte concrete ai ‘grandi’ del Pianeta, Vanessa Nakate ha sottolineato l’importanza di finanziamenti a fondo perduto, non prestiti. A tal proposito, infatti, la giovane attivista ugandese ha voluto precisare come l’Africa, nonostante produca solo il 3% delle emissioni, sia il continente che subisce più di ogni altro le conseguenze dei gas serra.
L’intento di dare voce anche ai giovani si è manifestato, lo scorso settembre, quando 400 giovani delegati da tutto il mondo, si sono riuniti a Milano per la Youth4Climate; all’evento, tra gli altri, anche l’attivista svedese Greta Thunberg che, insieme ai suoi ‘colleghi’ ha redatto un documento di cui le Nazioni Unite hanno tenuto conto nel corso della Cop26 di Glasgow. Tale testo, composto da importanti key messages sulla tematica ambientale-climatica, è stato tradotto nelle sei lingue delle Nazioni Unite; decisione atta a rendere a tutti il libero accesso alle informazioni.
Il “Bla Bla Bla” di Greta Thunberg
Il Manifesto dello Youth4Climate è stato tradotto in inglese, francese, spagnolo, arabo, cinese e russo (oltre all’italiano). Ognuno dei quattro macro-obiettivi approfonditi dai giovani delegati ha avuto il suo spazio di discussione alla Cop26; tuttavia i giovani attivisti non hanno riposto molte speranze nella Conferenza delle Parti e il celebre “Bla Bla Bla“, pronunciato da Greta Thunberg per commentare le azioni delle potenze mondiali sul clima, si è trasformato nel motto di protesta contro un evento internazionale giudicato però inefficace da molti.
E proprio per dare atto alla loro protesta gli attivisti ambientalisti guidati dalla giovane svedese hanno presentato una petizione al Segretario Generale delle Nazioni Unite; in essa la richiesta di dichiarare “emergenza climatica sistemica” il surriscaldamento globale. Proteste che sono proseguite anche nel corso della Conferenza delle Parti di Glasgow e che si sono conclusi con la chiosa finale della Thunberg che ha considerato la Cop26 un fallimento sin dalle sue origini.
Verso una conclusione
Difficile decretare se sia stato un fallimento o meno, ma sicuramente le conclusioni della Cop26 sono state raggiunte in maniera sofferta. Dopo le oltre due settimane di trattative, negoziati, dibattiti e incontri, il documento finale della Cop26 è arrivato il 13 novembre 2021, con 24 ore di ritardo rispetto alla conclusione della Conferenza. L’evento, che ha visto partecipare i 197 Stati Membri, si è chiuso con il Patto per il Clima; ma tuttavia, in esso non sono mancate rettifiche all’ultimo momento. Emblematica, infatti, la “revisione odiosa ma inevitabile” scaturita dalla richiesta dell’India; ovvero sostituire al paragrafo 36 il termine “phase out” (uscita) dal carbone per la produzione energetica con il termine “phase down” (diminuzione).
Tale misura ha, di fatti, annacquato, in qualche modo, la parte relativa alle emissioni derivate dal carbone; richiesta che la Cina aveva avanzato prima dell’India. Proprio per questo, un po’ con lo stesso sentimento di delusione espresso da Greta Thunberg, la Svizzera e anche diversi tra i piccoli stati insulari hanno espresso malumori per questa modifica giunta all’ultimo secondo. Anche Alok Sharma, il presidente della Cop26 ha, infatti, ammesso di essere “profondamente dispiaciuto” per l’accaduto. “Capisco la profonda delusione, ma è vitale che proteggiamo questo pacchetto“. In definitiva, nel testo approvato sono presenti dei traguardi, ma anche dei compromessi che si spera di risolvere nei prossimi anni.
Il Patto per il Clima
Il Patto per il Clima, ad oggi, si presenta come la pianificazione esplicita della riduzione di carbonio (responsabile del circa 40% di emissione di CO2 nell’ambiente e responsabile del gas serra). Questo comporta la predisposizione a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. Inoltre, ulteriore obiettivo posto dal Patto è quello relativo ai tagli alle emissioni; si prevede, infatti, che essi rimangano il 45% entro il 2030 rispetto al 2010, e zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Inoltre, il testo prevede anche una revisione, entro la fine del 2022, degli impegni di decarbonizzazione messi in pratica da ogni singolo stato.
In fine un invito esplicito raggiunto dagli accordi della Cop26 è quello di accelerare sulle fonti rinnovabile e chiudere, presto, le centrali a carbone; oltre ad eliminare i finanziamenti alle fonti fossili. I sussidi verso i paesi più poveri e vulnerabili, di cui anche tutti gli eventi preparatori alla Cop26 avevano ampiamente discusso, dovranno essere previsti in maniera mirata. Perché per ogni paese ci sia la possibilità oltre che la necessità di una “transizione giusta“.
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