Tempeste tropicali ai Caraibi, è record: la Nasa pensa ad un sistema per prevenire i danni
I cambiamenti climatici, come ci capita spesso di ripetere, il più delle volte sono invisibili e riscontrabili solo grazie a delle dettagliatissime raccolte dati. Esistono però dei luoghi in cui questi si rendono più evidenti anche all’occhio umano: si pensi ad esempio ai poli, dove i ghiacci si sciolgono ormai ad un ritmo inimmaginabile. Oggi però vogliamo parlarvi di tempeste tropicali: la costa atlantica dell’America Centrale e la zona dei Caraibi stanno vivendo delle annate da record rispetto a questi fenomeni meteorologici.
Basta osservare alcune statistiche per realizzare quanto la Terra stia vivendo un momento di assoluta difficoltà. L’anno appena concluso peraltro ha “regalato” alcuni record sensazionali. Le grandi tempeste tropicali sono state 30, cioè una dozzina in più rispetto alla media abituale di 18. Non è tutto: rispetto a 4 anni fa, la pioggia caduta sulle zone costiere ha fatto riscontrare un incremento quantitativo del 77%.
Ecosistema a rischio
Il dramma di questa situazione è che a pagare le spese più alte è proprio la natura stessa. Gli ecosistemi della zona caraibica sono messi in seria difficoltà dal numero spropositato di tempeste. Palme, mangrovie e tutte le specie che appartengono al mondo della flora tropicale sono in piena crisi a causa degli equilibri alterati.
La fauna marina vive il medesimo disagio: se l’ecosistema è modificato, inevitabilmente una moltitudine di specie pagherà le conseguenze del cambiamento del clima. Infine l’uomo: le tempeste sempre più frequenti ed intense non fanno altro che rovinare l’esistenza a centinaia di migliaia di persone. Tetti sotto cui vivere, ma anche attività economiche e quant’altro: tutto spazzato via dal vento.
Ecco perché tra Spagna e Messico è nato il progetto Coresam. Questo potrà vantare una collaborazione d’eccezione: quella con l’agenzia spaziale statunitense, ovvero la Nasa. L’idea è quella di analizzare le tempeste del passato per tentare di preparare meglio il nostro Pianeta a quelle del futuro. La questione non ci sorprende nemmeno un po’: non ci resta che limitare i danni creati con le nostre stesse mani.