Attraverso uno studio italiano è possibile scoprire il processo che porta il cibo ad essere contaminato dalle microplastiche. Dal mare, ai fiumi e ai laghi la plastica arriva anche nei piatti che consumiamo abitualmente.
Una ricerca scientifica tutta italiana spiega in che modo le microplastiche, presenti in mare, fiumi e laghi, arrivano a contaminare il cibo che consumiamo abitualmente. Questi agenti inquinanti, oltre ad essere un grave problema per gli ecosistemi in cui si insediano, sono una minaccia anche per la salute umana. Si tratta, infatti, di microscopiche particelle che, ogni giorno, ingeriamo attraverso pesci, crostacei, ma anche frutta e verdura. A darne la conferma è lo studio condotto dai ricercatori dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) insieme all’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche).
Le microplastiche e l’acqua
Lo studio, pubblicato sulla rivista Water, dimostra in che modo le particelle migrano dall’acqua dolce alle radici delle piante acquatiche. Queste poi sono ingerite dai crostacei con danni che si ripercuotono sulla loro salute e sull’intero ecosistema. Il team di ricercatori ha osservato in laboratorio gli effetti di microparticelle di polietilene (PE). Quest’ultimo, infatti, è tra le microplastiche più diffuse nell’ambiente. Nel corso dell’esperimento, gli esperti hanno studiato la Spirodela polyrhiza, una piccola pianta acquatica galleggiante nota come ‘lenticchia d’acqua’ e l’Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce che funge da alimento base per pesci come le trote.
Immergendo le piantine in acqua contaminata da microplastiche e poi trasferite in una vasca con dei gamberetti, è emerso che i crostacei ingeriscono circa 8 particelle ciascuno. Contemporaneamente, nelle piante contaminate soprattutto alle radici, si è notata una netta riduzione di clorofilla. Inoltre, è stato possibile dimostrare come le microplastiche, una volta ingerite, sono restituite all’ambiente sotto forma di escrementi. Attraverso lo studio, dunque, è possibile capire come le microplastiche entrano a far parte della catena alimentare in cui è coinvolto anche l’uomo. I crostacei e i pesci, infatti, non solo restituiscono le particelle all’ambiente, ma ovviamente le assimilano anche nei loro muscoli e nelle parti che noi mangiamo.
Le conseguenze sul DNA
Inoltre la ricerca ha voluto dimostrare anche le conseguenze di questi microscopici agenti inquinanti sul DNA dei crostacei. Ciò che è emerso è che, dopo appena 24 ore, gli esemplari esposti all’esperimento avevano un livello di frammentazione del DNA più alto rispetto a quelli non coinvolti. Questo ultimo dato, in particolare, dimostra che le microplastiche possono essere anche in grado di provocare danni genetici negli organismi viventi.
Questi agenti inquinanti non sono materiale inerte e privo di interazione con le funzioni degli organismi. Ma, al contrario, si muovono lungo la catena alimentare e creano effetti diretti, non solo sugli ecosistemi in cui agiscono, ma anche sul patrimonio genetico. Quindi conseguenze su popolazioni e intere comunità. A questo punto, per chi non si fosse ancora preoccupato di farlo, questo studio invita ulteriormente a riflettere su quanto siano dannosi gli effetti dell’inquinamento. Danni che non si registrano solo a livello potenziale, ma sempre di più a livello concreto.