La questione della sostenibilità ormai è diventata attuale in ogni campo di interesse, moda compresa. Il comportamento dell’uomo infatti è risultato disinteressato per troppo tempo ed oggi la coscienza ci “costringe” a correre ai ripari. Tra i pochissimi lati positivi della pandemia in corso, possiamo notare come tutta la cittadinanza mondiale appaia molto più sensibile a delle scelte etiche rivolte al rispetto dell’ambiente. Il lato etico non è dunque da sottovalutare, soprattutto se parliamo del campo della moda.
Un sondaggio svolto da Trustpilot in collaborazione con London Research ci mostra delle cifre impressionanti. L’82% degli intervistati a livello internazionale si ritiene influenzato da motivazioni etiche quando ha a che fare con il mondo della moda. Analizzando solo i dati italiani, questo numero aumenta ancora: la percentuale arriva a toccare il 92%. Ciò significa sostanzialmente che se un brand si dimostra disinteressato e soprattutto non rispetta un determinato tipo di standard etici ed ambientali, il cittadino italiano finirà per boicottarlo.
Più che fondamentale
Peraltro, la sostenibilità nel campo della moda non è necessariamente figlia di una produzione attenta a standard etici. Più il tempo passa, più le iniziative di economia circolare per sfruttare i vestiti inutilizzati aumentano. Tale logica può prendere piede o tra privati o, ancora meglio, può essere centralizzata in alcuni specifici spot. Tanto per fare un esempio, vi abbiamo da poco parlato della realtà di Armadioverde.
La filiera della moda non può non interessarsi dunque ad un certo tipo di logiche di sostenibilità. Si pensi che secondo alcuni report l’industria legata al mondo dell’abbigliamento nel 2018 è stata responsabile per circa il 4% delle emissioni mondiali per un totale di 2.1 tonnellate. Questi dati, proiettati ai ritmi analizzati, sono stimati in aumento. Nel 2030 infatti presumibilmente l’industria della moda genererà 2.7 miliardi di tonnellate di emissioni.
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