Quando parliamo di cambiamenti climatici, il rischio è sempre il medesimo. Potenzialmente infatti l’unica maniera per renderci conto di una modifica dello status quo risiede nell’osservare le oscillazioni della temperatura. Questa però, soprattutto in una realtà cittadina, non è cambiata più di tanto. Le famose “ottobrate romane” ad esempio sono sempre state qualcosa di particolarmente strano sotto l’ottica climatica. Giornate di sole e calde, molto simili a quelle estive, nonostante l’autunno inoltrato.
Il discorso è che è necessario verificare le conseguenze degli equilibri modificati in luoghi in cui questi sono cruciali per il mantenimento di alcune realtà. Vi parliamo spesso dello scioglimento dei ghiacci a ridosso dei poli: questi però non hanno affatto l’esclusiva. Il ghiaccio infatti sta tornando allo stato liquido anche nei ghiacciai sulle montagne italiane, e lo sta facendo ad un ritmo impressionante.
Anche in Italia la situazione è critica
Lo stivale infatti gode di una varietà di territori che ha pochi eguali al mondo. Sul nostro territorio sono presenti sostanzialmente tutte le variabili che studiamo in geografia alle scuole elementari. Abbiamo spiagge sensazionali, grandi pianure, colline e montagne che arrivano fino a quasi 5000 metri.
Proprio nel caso di queste ultime, l’innalzamento delle temperature sta mostrando tutta la sua forza: rispetto a come li abbiamo conosciuti, i ghiacciai alpini si sono ridotti in media del 45%.
Un numero che rende giustizia a questo scioglimento terribilmente celere è quello che analizza i dati raccolti negli ultimi 12 anni. La riduzione è pari al 13%: con questo ritmo di ritiro (1,1% annuo) rischiamo realmente di salutare alcune delle più importanti sedi glaciali presenti nello stivale. Come vi abbiamo già raccontato in precedenza infatti in un futuro nemmeno troppo lontano, osserveremo inermi scomparire il ghiacciaio della Marmolada e quello del Miage, sul Monte Bianco.
Per “chiudere in bellezza”, teniamo presente che tutto ciò non riguarda esclusivamente l’arco alpino. Tra le sei regioni interessate in questo processo infatti troviamo anche l’Abruzzo, sede delle vette più alte della catena montuosa degli Appennini.