L’inquinamento può essere causa di una malattia incurabile: ecco quale
All’origine di una malattia incurabile potrebbe esserci l’inquinamento. Ecco cosa hanno scoperto gli scienziati alla luce di una recente ricerca.
Che l’inquinamento faccia male alla salute è la classica verità nota anche ai sassi. Meno noto magari è l’elenco delle malattie che possono essere provocate o facilitate dal fatto di vivere in posti inquinati dove l’aria si è fatta sempre meno respirabile.
Nel mirino dei ricercatori, sotto questo punto di vista, sono da tempo finite le cosiddette polveri sottili. In altre parole le famigerate PM2.5, il particolato fine dal diametro inferiore ai 2,5 micrometri (o millesimi di millimetro). Per rendere l’idea parliamo di microparticelle almeno un centinaio di volte più sottili di un capello umano.
Le dimensioni ridottissime delle PM2.5 permettono loro di infiltrarsi in profondità nel nostro organismo. In questo modo, riescono a penetrare nella circolazione del sangue e ad attraversare la barriera anatomica a protezione del cervello. Ecco cosa hanno scoperto gli scienziati sui danni per la salute provocati dalle polveri sottili.
Quel legame tossico tra inquinamento e una malattia incurabile
È da tempo che si sospetta che respirare aria inquinata rappresenti un fattore di rischio significativo per le malattie legate all’invecchiamento del cervello. Uno studio condotto sugli effetti dello smog nella zona metropolitana di Atlanta (Usa) ha evidenziato qualcosa di più preciso.
Stando alla ricerca – apparsa online sulla rivista Neurology – chi si espone a alte concentrazioni di PM2.5 sarebbe portato ad accumulare nel cervello più elevati livelli di placche amiloidi. In altri termini gli accumuli neurotossici di proteina beta-amiloide caratteristici della demenza di tipo Alzheimer. I neuroscienziati hanno esaminato il tessuto cerebrale di 224 persone vissute ad Atlanta e che avevano acconsentito a donare il proprio cervello a scopi di ricerca scientifica dopo la morte. Prima di morire, al 90% di queste persone era stata diagnosticata una qualche forma di demenza.
I ricercatori hanno trovato una correlazione positiva tra la quantità di placche amiloidi nel cervello dei volontari e l’esposizione a alti livelli di PM2.5. In particolare, chi aveva respirato una concentrazione di PM2.5 superiore in media a 1 microgrammo per metro cubo nell’anno precedente alla morte risultava due volte più incline ad avere più elevati livelli di placche amiloidi nel cervello. Inoltre chi aveva respirato più particolato fine nei tre anni prima di morire aveva una probabilità maggiore dell’87% di avere alti livelli di placche amiloidi. In un caso come nell’altro i valori medi di esposizione alle polveri sottili superavano i 1,3 microgrammi per metro cubo.
Gli esperti hanno scoperto anche che il legame tossico tra inquinamento e gravità delle delle placche amiloidi era più marcato in chi non era geneticamente predisposto alla demenza di tipo Alzheimer. Questa associazione, spiega Anke Huels, primo autore della ricerca, «suggerisce che le esposizioni ambientali come l’inquinamento atmosferico possono spiegare parte del rischio di Alzheimer in persone il cui rischio non può essere spiegato da un fattore genetico».