Smart working, per un lavoro sostenibile
Sarà lo smart working a battere la crisi? È presto per dirlo, ma sicuramente l’esigenza di trovare un nuovo modo di lavorare è nata dalla necessità, da parte di molte imprese, di superare l’impasse economica di questi ultimi otto anni e le attuali difficoltà a livello di produttività e competitività. A risentire maggiormente della situazione di depressione sono stati il personale lavorativo – in termini di insoddisfazione generale e stress – e soprattutto l’ambiente, messo a dura prova del traffico e dallo smog.
La soluzione? Flessibilità e autonomia nella scelta degli orari e degli spazi di lavoro: in una parola “smart working”, appunto, un nuovo modello organizzativo già molto diffuso nel mondo, che purtroppo in Italia riguarda ancora solo una minima parte delle imprese. Ma quali sono i benefici dello smart working? Possiamo declinarli in tre ambiti principali: per l’azienda, per le persone e per la sostenibilità ambientale. Infatti, ipotizzando di lavorare con modalità smart working per almeno un paio di giorni a settimana, tutto ciò si tradurrebbe per l’azienda in aumento della produttività (circa del 20%), una notevole riduzione dell’assenteismo (tra il 50% e il 70% ), oltre ad una significativa riduzione dei costi per gli spazi fisici; per le persone sicuramente in un notevole miglioramento del work-life balance (basti pensare al rientro dalla maternità delle lavoratrici e la difficile gestione dell’equilibrio dei tempi per chi ha figli), aumento della soddisfazione e, last but not least, circa 1200 euro all’anno risparmiati di costi di benzina e manutenzione dell’automobile utilizzata per gli spostamenti; infine, per l’ambiente, in riduzione delle emissioni di CO2, di traffico e inquinamento. Ma di cosa si tratta esattamente? Che differenza c’è rispetto al cosiddetto “telelavoro”? In realtà, il telelavoro è quanto di più lontano dallo smart working poiché, anche se si lavora da casa, si tratta di un’attività ancora strettamente legata ad orari e spazi prefissati. Lo smart working invece è una vera e propria filosofia manageriale innovativa, che ha a che fare prima di tutto con l’autonomia e la responsabilità del lavoratore.
Smart working, le esperienze italiane
Microsoft Italia ha adottato il lavoro smart ben dieci anni fa, dal lontano 2006 quindi, anno a partire dal quale la multinazionale si è mossa per offrire maggiore flessibilità del lavoro ai propri dipendenti, unita ad un’organizzazione del lavoro più attenta alla responsabilità dei singoli, che vengono premiati in base ai propri risultati e ai contributi individuali, mentre sono stati messi da parte i concetti più tradizionali di gestione del personale legati al numero di ore lavorate e alla presenza fisica negli uffici. Questa filosofia, basata su responsabilizzazione, fiducia, flessibilità, meritocrazia ha portato una serie di benefici personali ma soprattutto ambientali grazie all’ottimizzazione dei tempi e dei costi di spostamento, realizzati con strumenti come ad esempio le conference call, che hanno dimezzato le riunioni, i trasferimenti i viaggi o spostamenti abbattendo stress e costi di trasporto. Non solo Microsoft ha adottato questa modalità di lavoro; attualmente in Sanofi 160 persone lavorano una giornata a settimana da casa grazie al supporto tecnologico fornito dall’azienda dei quali l’età media si attesta intorno ai 48 anni, con una quota femminile pari al 73%. Anche in Accenture Italia il lavoro agile esiste già dal 2009 e oggi coinvolge oggi circa l’83% di tutta la forza lavoro “stanziale” (circa 500 persone) delle funzioni cosiddette corporate.
Ripensare l’ufficio per lo smart working
L’incremento del numero di smart workers potrebbe permettere di riprogettare l’organizzazione degli spazi, con la riduzione del costo dei beni immobili e ovviamente degli spostamenti, sopratutto in ambito urbano, con un impatto ambientale positivo in termini di emissioni di anidride carbonica. Si stimerebbe addirittura una riduzione della produzione annua di CO2 di oltre 307mila tonnellate, di un risparmio di tempo di 47 milioni di ore all’anno e di 407 milioni di euro all’anno, nel caso che solo il 10% degli occupati lavorasse da casa in telelavoro per 100 giorni all’anno. Secondo Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, “queste cifre, nonostante misurino solo una piccola parte dei benefici ottenibili, danno un’idea delle potenzialità dello smart working in Italia e dovrebbero stimolare opportune azioni da parte di tutti gli attori chiave del nostro Paese volte a trasformare questi benefici da ‘potenzialità’ a ‘energia’ per la crescita delle imprese e del Paese”. Il futuro consisterebbe, dunque, nell’abolizione dell’ufficio come luogo di lavoro? “In realtà – sottolinea Corso – questo spazio rimane un centro operativo e di incontro importante per l’impresa, ma deve essere ripensato per venire incontro alle esigenze degli smart workers. Non più grandi open space indifferenziati per tutte le attività: occorrono da una parte luoghi deputati alle riunioni e ai brainstorming, dall’altra ambienti più isolati per concentrarsi o effettuare telefonate importanti o videoconferenze”. D’altra parte, oramai le nuove tecnologie informatiche e di comunicazione hanno letteralmente rivoluzionato le distanze e l’operatività interattiva, consentendo facilità di connessione tra le persone in costante espansione, che potrebbero, se correttamente utilizzati, creare nuovi spazi di condivisione, evitando nel contempo l’isolamento di chi lavora da remoto, anche grazie ai social.
I benefici per l’ambiente
Riassumendo, possiamo affermare che lo smart working aiuta a ridurre il traffico e il livello di inquinamento, attenuando il numero di veicoli sulle strade; il secondo obiettivo, non in ordine di importanza, è ovviamente quello di ridurre lo stress che si accompagna all’inefficiente servizio di trasporto pubblico. Le argomentazioni a favore dell’adozione di tale pratica si basano sulla constatazione che le forma di lavoro smart hanno un effetto positivo sia sulla qualità dell’aria che sulla congestione del traffico, dal momento che si va a limitare gli spostamenti dei lavoratori verso e dal luogo di lavoro nelle ore di punta, viaggi che rappresentano la maggiore fonte di inquinamento atmosferico. Un positivo effetto collaterale risiede poi nel fatto che meno macchine sulla strada significano anche meno incidenti.