Soldi e psicologia viaggiano a braccetto: come risparmiare con la finanza comportamentale
La psicologia cognitiva può aiutarci a comprendere perché sviluppiamo determinate abitudini di spesa: scopriamo se siamo spendaccioni oppure accorti con il nostro portafoglio
Gestire il proprio patrimonio richiede abilità, determinazione e costanza. Non importa quanto ingente oppure esiguo sia, perché il principio è in entrambi i casi lo stesso: lo curiamo in modo ragionevole e lucido o, viceversa, in modo sconsiderato ed irresponsabile? E badiamo bene ad un aspetto: questo è uno di quegli ambiti in cui gli estremi si toccano e congiungono. Già, perché tanto avere le “mani bucate” quanto avere l’ossessione del risparmio sono entrambi atteggiamenti che rischiano di compromettere la qualità della nostra vita.
Ed è la psicologia a venirci in soccorso per comprendere se la gestione dei nostri soldi sia virtuosa o viziosa, valutando il grado di ragionevolezza raggiunto nell’amministrare il danaro di cui disponiamo. Si tratta della cosiddetta finanza comportamentale, un campo di studio che utilizza la psicologia cognitiva per comprendere come vengano prese decisioni economiche da parte degli esseri umani ed in che modo queste si riflettano ed influenzino il mercato.
Storicamente, i “padri” di questa disciplina risultano l’economista e filosofo scozzese Adam Smith e l’economista, giurista e filosofo inglese Jeremy Bentham i quali, a partire dalla seconda metà del Settecento, avviarono un’analisi approfondita sul legame tra l’economia e la psicologia. Da allora, gli studi sono proseguiti fino a trovare tra i propri massimi esponenti contemporanei economisti come John Keynes e psicologi come il premio Nobel Daniel Kahneman.
Cosa determina una sconsiderata gestione del danaro
Secondo le teorie della finanza comportamentale, la principale responsabile di una scorretta gestione del proprio patrimonio è la tendenza del cervello umano ad impiegare la minor energia possibile durante i processi decisionali abitudinari, affidandosi ai cosiddetti “bias”, ovvero ad una sorta di scorciatoie mentali.
Tali bias non si basano sull’applicazione di razionalità, bensì su ripetitività, sensazioni temporanee ed intuito. L’effetto apparentemente benefico dei bias è quello di consentire a chi intraprende queste scorciatoie di “risparmiare tempo”, di effettuare decisioni velocemente, basandole su un’esperienza generica, e di provare piacere nell’immediato. Tuttavia, evitando di analizzarle nel contesto specifico, spesso conducono a spiacevoli sorprese impreviste (come ritrovarsi il conto in banca prosciugato).
Ad esempio, nel caso della spesa di danaro, pensiamo ai saldi: se l’esperienza ci ha portati a ritenere che convengano sempre, allora rischiamo di non poter fare a meno di approfittarne non appena vengano annunciati, anche quando i prodotti in sconto non ci servono in quello specifico momento e preciso contesto.
Oppure alle scorte effettuate al supermercato: se l’esperienza ha consolidato in noi la convinzione che siano essenziali per affrontare eventuali periodi di penuria, è assai probabile ritrovarsi con l’abitudine di effettuarle sistematicamente. E dunque di ritrovarsi poi le dispense piene di prodotti in realtà non necessari, e magari farli anche scadere per mesi se non addirittura anni.
Come rendere virtuosa la gestione del danaro: alcuni esempi
Ebbene, come non incorrere dunque in questi bias ed avere una gestione accorta del proprio danaro? Innanzitutto essendo consci del rischio di venire risucchiati da un’abitudinarietà – o stile o status di vita – che, soprattutto per ciò che riguarda i bisogni secondari non indispensabili, può non essere adatta “ad ogni stagione”: per la maggior parte di noi, infatti, il patrimonio personale subisce oscillazioni continue, con momenti di maggiore e minore abbondanza e quindi occorre verificare le disponibilità economiche con regolarità, senza darle per scontate.
Dunque mantenere la lucidità riguardo a ciò che possiamo permetterci è essenziale. Così come valutare attentamente cosa davvero serva a garantire una qualità di vita ottimale e cosa no, non puntando all’acquisto in modo compulsivo, bensì attendendo qualche giorno dal momento in cui abbiamo percepito il desiderio di comprare qualcosa. E non stufarsi mai di domandare a se stessi: è una necessità oppure un’abitudine comportamentale automatica? O, ancora, un capriccio di cui posso fare a meno? E rispondersi, poi, in totale lucidità ed onestà.