LE FIBRE DEI JEANS INQUINANO I CORSI D’ACQUA: LA RICERCA NON HA DUBBI
La moda è una questione molto soggettiva e legata ai gusti personali. Uno stilista con i fiocchi sa anticipare le tendenze, o addirittura lanciarle. Ai futuri clienti poi sarà concesso apprezzare o meno le peculiarità di una singola collezione o della manodopera di alto livello.
Se questa regola però è valida per una moltitudine di invenzioni originali, esistono alcuni capi che non sono minimamente sfiorati da un certo tipo di logiche. Un vestito alla moda nel 2020 infatti, presumibilmente, l’anno prossimo sarà già considerato “vecchio“. Nell’armadio di chiunque invece (facendo riferimento almeno all’occidente), fin dal 19° secolo è presente qualcosa che non passerà mai di moda: il blue jeans.
Nell’armadio ma anche nell’acqua
Parliamo di una tipologia di pantalone che non ha bisogno di chissà quale presentazione. Duttilità è la parola d’ordine fin dal 1873, anno in cui Levi Strauss brevettò ciò che in pochi anni divenne la sua fortuna. Il materiale utilizzato per questo indumento immortale è il Denim, un composto di cotone e nylon, generalmente di colore blu.
Il jeans può essere sia considerato un pantalone da lavoro che qualcosa di indossabile per mantenere uno stile “casual“. Certamente però è ideale nel momento in cui si presenta un dubbio rispetto ad un outfit per una giornata qualunque. Vista la sua composizione in cotone, ci aspetteremmo che questo indumento sia totalmente rispettoso dell’ambiente: così purtroppo non è.
Anzitutto uno sguardo ai numeri: per produrre blue jeans viene utilizzato circa il 35% del cotone raccolto, dando vita ad una produzione di circa 23 mila tonnellate metriche l’anno. Se pensiamo che esclusivamente facendo riferimento alle piantagioni presenti in Cina e India vengono utilizzati 120 miliardi di litri d’acqua ogni 365 giorni, possiamo iniziare a comprendere il problema. Inoltre, per ricavare il Denim, sono necessari moltissimi processi chimici. Gli scarichi di questi ultimi, alcune volte, finiscono proprio nei corsi d’acqua, inquinando in maniera considerevole.
Dulcis in fundo, le fibre. Secondo uno studio redatto dall’Università di Toronto e pubblicato su Environmental Science & Technology Letters, i laghi canadesi sarebbero pieni di queste piccole particelle. Non parliamo di numeri insignificanti: si va da un minimo del 12% fino ad arrivare addirittura ad un 23% di micro particelle di Denim presenti nei sedimenti. Insomma, anche questa volta non c’è affatto da stare tranquilli.