MICROPLASTICHE NELLA FRUTTA: LO STUDIO ITALIANO CHE CHIARISCE LA SITUAZIONE
Quando diciamo che l’uomo ha realmente esagerato nell’assecondare i propri interessi senza tener conto che il nostro Pianeta ne avrebbe sofferto, pensiamo proprio al genere di avvenimenti che stiamo per raccontarvi. Distogliere il focus da quella che dovrebbe essere la nostra assoluta priorità rischia di essere pagato a caro prezzo.
Parliamo di un circolo vizioso, in cui a pagarne siamo proprio noi. È chiaro, una persona qualunque non può sentirsi in colpa allo stesso modo di un imprenditore nel campo petrolifero. Le conseguenze di questi atti però non fanno sconti e a soffrirne siamo potenzialmente tutti.
Pragmaticamente, ciò di cui avremmo bisogno è certamente una svolta culturale, nemmeno troppo complicata da assimilare: la nostra Terra ci offre la possibilità non solo di “sopravvivere”, ma di “vivere” nel migliore dei sensi attribuibili a questo termine. Si tratta esclusivamente di scegliere a quali interessi dare la precedenza.
Una verità scomoda
A forza di abusare di materiali plastici ad esempio, siamo finiti a constatare che residui di questi finiscono addirittura nella frutta che portiamo sulla nostra tavola dopo i pasti o per merenda. Uno studio svolto dall’Università di Catania e pubblicato su Environmental Research ha tentato di far luce su questa notizia abbastanza spaventosa.
Il motivo di tale contaminazione è molto semplice: l’acqua dei mari e degli oceani. Questa, evaporando, trasporta con se particelle microscopiche di plastica, che grazie alle piogge finiscono prima nelle terre coltivabili e poi nei frutti. Lo scenario è abbastanza inquietante, tantochè verrebbe da domandarsi cosa potrebbe succedere se osservassimo gli stessi parametri nei prodotti ittici.
Tutto ciò per dire che è assolutamente necessaria una riflessione profonda rispetto a quelli che sono i comportamenti. Gettare una bottiglietta di acqua finita in un fiume può inficiare non solo sulla salute dei nostri figli e nipoti, ma anche nel breve termine su noi stessi. Rimane comunque un pessimo gesto, ma forse pagarlo sulla nostra pelle potrebbe convincerci a smettere.