
Il processo riguardante l’ex Ilva, che ha attirato l’attenzione per le sue implicazioni ambientali, si trasferirà ufficialmente in Basilicata. Questa decisione è stata presa dal collegio giudicante presieduto dal giudice Tiziana Lotito, del tribunale di Taranto, il quale ha dichiarato l’incompetenza territoriale di Taranto in merito al caso. L’udienza si svolgerà presso il Tribunale di Potenza, dove il processo riprenderà dall’inizio.
Il nuovo inizio del processo
Il trasferimento del procedimento giudiziario rappresenta una vittoria significativa per gli avvocati difensori, ma evidenzia anche le difficoltà della Procura di Taranto nel gestire la competenza territoriale. Il caso in questione si riferisce a un presunto disastro ambientale avvenuto nella gravina Leucaspide, nel comune di Statte, dove erano stati stoccati rifiuti pericolosi. La Procura di Taranto aveva già avviato il processo, ma la sentenza del giudice Lotito ha portato a un cambiamento di scenario, obbligando gli attori coinvolti a ripartire da zero.
Il collegio presieduto da Tiziana Lotito ha giustificato la propria decisione con una connessione al caso “Ambiente Svenduto“, già trasferito al Tribunale di Potenza. Questa situazione ha sollevato interrogativi sulla gestione del caso da parte della Procura tarantina e sulla sua capacità di affrontare questioni così complesse.
Le accuse e gli imputati
Il processo coinvolge otto imputati, tra cui membri della famiglia Riva e ex dirigenti dell’Ilva, che operavano nello stabilimento dal 1995 al 2012. Nel 2020, cinque membri della famiglia Riva, tra cui Angelo Massimo, Claudio, Cesare Federico, Fabio Arturo e Nicola Riva, sono stati mandati a processo. A loro si aggiungono Antonio Gallicchio, Luigi Capogrosso e Renzo Tomassini, tutti ex dirigenti della fabbrica. Le accuse includono compromissione di un’area protetta, danneggiamento aggravato, disastro ambientale, gestione illecita di rifiuti e inquinamento delle acque.
L’inchiesta ha avuto origine da un esposto presentato nel 2013 da Filippo De Filippis, proprietario dell’azienda agricola “Leucaspide“, situata nelle vicinanze dell’area inquinata. Le gravi accuse mosse agli imputati si basano su presunti comportamenti negligenti nella gestione dei rifiuti, che avrebbero portato a gravi danni ambientali.
Il sequestro e le indagini
La vicenda ha preso avvio a fine ottobre 2018, quando il gip Vilma Gilli ha disposto il sequestro di un’area di circa 530 mila metri quadrati. In questo spazio, erano stati accumulati cinque milioni di tonnellate di rifiuti, sia pericolosi che non pericolosi, in condizioni precarie e senza adeguate misure di sicurezza. La situazione ha sollevato preoccupazioni per la salute pubblica e per l’ambiente circostante, a causa della possibilità di dispersione di sostanze nocive nel suolo e nelle falde acquifere.
Il pm Mariano Buccoliero, titolare dell’inchiesta, ha affermato che gli imputati avrebbero omesso di mettere in sicurezza le aree sequestrate per risparmiare sui costi di bonifica, ottenendo così un ingiusto vantaggio patrimoniale. Ora, il caso sarà gestito dai magistrati e dai giudici del Tribunale di Potenza, mentre la Procura di Taranto dovrà affrontare un periodo di riflessione sulla propria strategia legale e sulla gestione delle competenze territoriali.
La decisione di trasferire il processo in Basilicata segna un importante sviluppo in questa complessa vicenda giudiziaria, che continua a sollevare interrogativi sulla responsabilità ambientale e sulla tutela della salute pubblica.