L’Unione Europea sta investendo nella nuova frontiera della cattura del carbonio, un processo che mira a rimuovere la CO2 direttamente dall’atmosfera. Tuttavia, le questioni legate ai costi e agli impatti ambientali rimangono centrali nel dibattito. Nella Bussola sulla competitività, pubblicata il 29 gennaio 2025, la Commissione Europea ha annunciato l’intenzione di “sviluppare incentivi per la rimozione del carbonio”, attraverso una revisione della direttiva sull’Emissions Trading System prevista per il 2026. Questo approccio mira a “creare un business case per un sistema permanente di rimozioni” e a compensare le emissioni residue dei settori hard to abate. È necessario dimostrare che queste tecnologie siano praticabili e vantaggiose, ma per ora mancano dettagli su tempi e modalità di attuazione. La direzione sembra chiara, come confermato anche dal comitato consultivo dell’UE per il clima, che ha approvato l’integrazione delle rimozioni del carbonio nel sistema ETS.
Che cos’è la cattura del carbonio
La rimozione di anidride carbonica comprende una serie di tecniche, sia naturali che ingegneristiche, come la forestazione e l’agricoltura rigenerativa, così come la cattura diretta della CO2 dall’atmosfera. Secondo Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del CNR e esperto di energia, queste tecnologie mirano a rimuovere la CO2 non dai fumi delle ciminiere, ma direttamente dall’aria, per poi immagazzinarla in serbatoi naturali o in siti di stoccaggio geologico. Queste soluzioni sono spesso complementari alle tecniche tradizionali di cattura e stoccaggio di carbonio da impianti industriali, che sono sostenute da diverse lobby e forze politiche.
La Net Zero Industry Act, adottata nel giugno del 2024, stabilisce un obiettivo di stoccaggio di 50 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030. Le fonti di CO2 possono derivare sia dalle tecniche di cattura e stoccaggio di carbonio (CCS) sia dalla rimozione di carbonio dall’atmosfera. Nel caso della CCS, la CO2 deve essere separata dalle fonti energetiche e dai gas emessi da combustione, per poi essere trasportata in un sito di stoccaggio. Se la CO2 viene utilizzata per realizzare prodotti chimici, materiali da costruzione o combustibili senza uno stoccaggio permanente, si parla di Cattura e Utilizzo di Carbonio (CCU). La rimozione di carbonio dall’atmosfera, invece, include tecnologie come la DAC (Cattura Diretta dell’Aria) e la BECCS (Bioenergia con Cattura e Stoccaggio del Carbonio).
Pressioni politiche e sfide da affrontare
Nel gennaio del 2025, trenta membri del Parlamento Europeo, appartenenti a diversi gruppi politici come Renew Europe, PPE, S&D ed ECR, hanno scritto a Ursula von der Leyen chiedendo l’inclusione di misure nel Clean Industrial Deal per promuovere lo sviluppo della CCUS. Tra i firmatari ci sono anche politici italiani come Elena Donazzan, Alessandro Ciriani e Giovanni Crosetto, sostenuti da dichiarazioni della premier Giorgia Meloni durante la COP di Baku. La Carbon Capture and Storage Association ha espresso simili richieste, sottolineando l’importanza della tecnologia CCUS per raggiungere le emissioni nette zero in alcuni settori industriali. Tuttavia, l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha avvertito che non bisogna utilizzare queste tecnologie per mantenere lo status quo. Anche il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) ha avvertito che un eccessivo affidamento su queste tecnologie potrebbe compromettere il raggiungimento degli obiettivi di Parigi.
Nicola Armaroli ha evidenziato che ogni fase del processo CCS richiede una significativa quantità di energia. Si stima che oltre il 30% dell’energia prodotta da una centrale termoelettrica a combustibili fossili venga utilizzata solo per il processo di separazione della CO2. Inoltre, è necessaria un’infrastruttura adeguata per il trasporto della CO2 verso siti geologici idonei, il che comporta ulteriori consumi energetici. Le recenti stime indicano che il costo per il sequestro di una tonnellata di CO2 in Europa varia tra i 100 e i 300 euro, a seconda della tecnologia utilizzata.
Il progetto di Ravenna e le prospettive future
Nel settembre del 2024, è stato avviato a Ravenna il primo progetto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica in Italia, con una capacità iniziale di iniezione di 25mila tonnellate di CO2 all’anno. Si prevede di aumentare questa capacità a 4 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030, con potenziali espansioni fino a 16 milioni di tonnellate all’anno entro il 2040-2050. Tuttavia, Nicola Armaroli ha avvertito che, considerando le attuali emissioni di CO2 in Italia, il progetto potrebbe sequestrare meno del 5% della CO2 emessa nel Paese. Questo scenario ottimistico deve ancora essere dimostrato tecnicamente e i costi rimangono una questione aperta.
Le tecnologie di cattura e stoccaggio possono arrivare a costare fino a 120 euro per tonnellata, mentre le stime per la DAC variano tra i 300 e i 600 dollari per tonnellata. Questa disparità di costi è dovuta alla bassa concentrazione di CO2 nell’atmosfera, che richiede un apporto energetico significativamente maggiore rispetto alla CCS tradizionale. Resta da considerare anche il rischio di competizione per l’uso del suolo tra coltivazioni alimentari e produzione di energia, oltre alle emissioni di CO2 associate alla lavorazione della biomassa. Le proiezioni indicano che i progetti in fase iniziale potrebbero rimuovere circa 60 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030, ben al di sotto delle aspettative dell’IEA per il 2050.