Come hanno fatto queste implacabili predatrici marine a guadagnarsi l’appellativo di orche “assassine”? Ecco svelato
Le orche, i maestosi giganti dei mari, incutono un misto di stupore e paura da sempre. Il loro soprannome, “assassine”, non aiuta certo a stemperare l’aura di mistero e terrore che le avvolge. Ma da dove arriva questo appellativo tanto potente e come si sono guadagnate tale reputazione? Preparati a navigare con noi attraverso le onde della storia, della scienza e dei racconti del mare per svelare l’arcano – ma tieniti sempre alla larga dalle orche!
Le orche, con il loro aspetto inconfondibile e l’enorme mole, hanno attratto l’attenzione umana sin dai tempi antichi. La prima descrizione scritta di un’orca risale addirittura a Plinio il Vecchio, un ufficiale dell’Impero Romano. Descriveva queste creature come “un’enorme massa di carne armata di denti“, un’immagine potente che si è mantenuta per secoli, e che è stata confermata dagli studi sulla potenza del suo morso.
La scoperta raccapricciante sulle orche assassine
Nei secoli scorsi, le descrizioni basate su esemplari morti hanno creato non poche difficoltà nella caratterizzazione di questi animali, poiché il loro colore cambia drasticamente dopo la morte a causa della decomposizione. Un importante passo avanti nella comprensione di questi mammiferi si deve allo zoologo danese Daniel Eschricht, che nel 1861 eseguì un’autopsia su un’orca morta.
L’analisi del contenuto dello stomaco dell’orca rivelò resti di 13 foche e 14 focene, simili ai delfini. La scoperta fece molto scalpore all’epoca e ancora oggi è fonte di dibattito: era un dato reale o Eschricht potrebbe aver esagerato un po’ nella sua relazione? Non possiamo saperlo con certezza, ma è indubbio che il soprannome “assassine” è rimasto impresso nell’immaginario collettivo, e le ricerche successive non fanno che dare sostanza ai nostri timori.
Ciò che oggi sappiamo grazie alla scienza è che si tratta di cetacei della stessa famiglia dei delfini, e quindi mammiferi, che hanno un ruolo prediletto nella piramide alimentare: si tratta di superpredatori. La loro dieta è incredibilmente varia e non hanno predatori naturali, e per di più vantano anche il primato del morso più potente al mondo, riuscendo ad imprimere una forza di 84.516 Newton, pari a circa 9.500 Kg. Per mettere in prospettiva, più di quattro volte quella di uno squalo bianco, che infatti riescono ad annichilire con una brutalità disarmante.
Hanno complesse abilità comunicative e sociali, e i recenti episodi di attacchi ad imbarcazioni hanno sollevato degli interrogativi: si sono date alla lotta di classe, o per meglio dire, di specie? Gli scienziati osservano questo comportamento da anni, ma non hanno tratto conclusioni definitive: potrebbero essere atti giocosi e capricciosi, così come ritorsioni a seguito di incidenti, anche se sembrano essere interessate più all’imbarcazione in sé che ai passeggeri.
Indubbiamente, sostengono gli esperti, subiscono lo stress delle attività di pesca, rumore e collisione con le navi, e sono tra i mammiferi marini che più di tutti subiscono gli effetti dell’inquinamento delle acque. Anche gli assassini soffrono!