Se non lavi i panni salvi il pianeta, è la regola del ‘Nowash’: la tecnica sta facendo discutere il web intero
La regola del Nowash, che prevede di non lavare i panni, sta facendo discutere molto il web: andiamo a vedere la questione nel dettaglio
In un mondo sempre più attento alla sostenibilità, sta prendendo piede un nuovo movimento green chiamato “Nowash”, che propone un approccio non convenzionale all’igiene personale e alla cura dei vestiti. Questa filosofia eco-friendly si sta diffondendo rapidamente tra la gente comune, i personaggi famosi e persino le grandi icone della moda. Ma cosa si nasconde dietro questo fenomeno? Ecco tutto quello che c’è da sapere sul “Nowash”, un movimento che ha scatenato discussioni fervide e contraddittorie in tutto il web.
Il termine No Wash si riferisce a coloro che scelgono di ridurre significativamente la frequenza con cui lavano i loro capi d’abbigliamento. Secondo i sostenitori di questo stile di vita, il lavaggio frequente non solo non è necessario per mantenere una buona igiene, ma può anche avere un impatto ambientale negativo. Le lavatrici consumano molta acqua e l’uso di detersivi chimici può contribuire all’inquinamento dell’acqua. Inoltre, i capi di abbigliamento sintetici possono rilasciare microplastiche nell’ambiente durante il lavaggio.
L’ascesa del movimento “No Wash”, anche tra le celebrità
Personaggi famosi come la stilista britannica Stella McCartney, e con lei Charlize Theron e Leonardo Di Caprio, si sono schierati a favore del movimento, sottolineando i benefici ambientali del “No Wash”. McCartney, da anni attiva nella difesa dell’ambiente, ha dichiarato: “Non mi cambio il reggiseno ogni giorno e non butto qualcosa nella lavatrice solo perché l’ho indossata. Sono una persona molto igienica ma non sono una fan della lavanderia, dell’asciugatrice o di ogni pulizia in generale”. Questa affermazione ha alimentato la discussione, facendo riflettere sulla necessità di un approccio più sostenibile alla cura dei nostri vestiti.
Il movimento “No Wash” non è solo una teoria, ma una pratica concreta. Chelsea Harry, una convinta sostenitrice del “No Wash”, ha raccontato alla Bbc Culture di aver cambiato il suo approccio verso il bucato dopo aver incontrato suo marito, che raramente lavava i suoi vestiti. Durante la pandemia, la passione per l’escursionismo le ha aperto un mondo. «Ovviamente, in tenda, non puoi fare la doccia ogni sera o rinfrescare i tuoi vestiti», spiega. E così ha iniziato ad adottare questa strategia anche in casa, appendendo i capi che indossa, scelti in modo che il materiale non raccolga troppo odore, e li spruzza con aceto o vodka solo sulle ascelle.
I sostenitori del “No Wash” sostengono che alcuni materiali sono meglio di altri per ridurre la necessità di lavaggi frequenti. la lana, ad esempio, è molto apprezzata per le sue proprietà naturali che resistono agli odori. Il marchio Wool& sostiene che i loro prodotti in lana merino possono essere indossati per 100 giorni senza lavaggio. Jeans, soprattutto quelli di cotone, possono resistere per lunghi periodi senza lavaggio. Alcuni partecipanti al contest “Indigo Invitational”, per esempio, sostengono di non aver lavato i loro jeans per un anno intero.
La questione igienica e la critica medica
Non tutti vedono il movimento “No Wash” con occhi positivi. Alcuni esperti di igiene, come Carlo Signorelli, professore di Igiene dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, criticano duramente la pratica: secondo lui è “pessima” perché “virus e batteri si depositano sui capi“, quindi la pulizia frequente è fondamentale per garantire un ambiente sano.
Eppure l’esperimento di uno studente dell’Università di Alberta in Canada, che per ben 15 mesi ha indossato ogni giorno lo stesso jeans, dimostra il contrario. Dopo averlo fatto esaminare in laboratorio ha scoperto che la carica batterica era identica a quella registrata dopo soli 13 utilizzi.
Pare dunque che l’infestazione di germi e batteri sui capi dopo uno o pochi utilizzi non siano una condanna, e in ogni caso non del tutto lesiva della nostra salute. Molto dipende dal livello di igiene personale, dalle attività compiute e dalla qualità del tessuto indossato. Sicuramente la fattibilità di un’abitudine come questa dipende anche dalla bontà del nostro sistema immunitario e i sistemi di regolazione degli odori. Certo è che in una società altamente germofobica e con la fissa della sterilizzazione, rinunciare a qualche lavaggio appare davvero come una pratica rivoluzionaria.