Mediterraneo: le conseguenze delle coste cementificate
L'allarme proviene da due rapporti, per Greenpeace e Ispra il Mare Nostrum appare minacciato su più fronti
Secondo due rapporti annuali, diffusi da Greenpeace e Ispra, il Mediterraneo potrebbe essere minacciato su più fronti. Da un lato l’incremento delle temperature mette a rischio la flora marina, dall’altro il cemento sta ‘divorando’ le coste del Mare Nostrum.
Due rapporti diversi, diffusi rispettivamente da Greenpeace ed Ispra, hanno fornito un resoconto delle condizioni del Mar Mediterraneo che potrebbero apparire allarmanti. L’incremento delle temperature rischia di stravolgere completamente gli ecosistemi marini; inoltre, le coste appaiono sempre più cementificate.
Meno gorgonie sui fondali e più costruzioni su tutti i litorali; questa è la situazione, attuale, descritta e documentata. L’Ong e l’Istituto di Ricerca Pubblico hanno spiegato come tali aspetti potrebbero avere (o hanno già avuto) conseguenze preoccupanti per il Mare Nostrum.
Le condizioni del Mediterraneo
Per il secondo anno di seguito, Greenpeace ha pubblicato il rapporto del suo progetto Mare Caldo; ricerca condotta con l’Università di Genova. Da tale rapporto sono state rivelate delle anomalie nelle temperature; ondate di calore estremo all’Isola d’Elba e all’Area Marina Protetta di Portofino. Temperature che, in pochi giorni, hanno registrato un aumento di circa 1,5 gradi rispetto al valore medio mensile e fino a 35-40 metri di profondità. La conseguenza di questo fenomeno è un’evidente segno di necrosi in diverse specie mediterranee; così come succede per i coralli tropicali, che si sbiancano a causa del calore, anche le gorgonie, le alghe corallinacee e le spugne sono colpite nel Mediterraneo.
Ad essere in ‘crisi’ nel Mediterraneo, oltre ai fondali, sono anche le coste; come ha sottolineato l’Ispra, infatti, negli ultimi vent’anni, ogni anno in Italia si perdono circa 5 Km di costa naturale. A causare questa importante perdita la costruzione di strutture artificiali; abitazioni, lidi ed edifici di diverso genere, oltre che strade. E nelle zone retrostanti alle spiagge la cementificazione risulta più rilevante; ogni anno, più di 10 km di dune costiere, terreno coltivato, vegetazione e formazioni naturali sono state sostituite da opere antropiche. Come sottolinea l’Ispra, la costa italiana misura all’incirca 8.300 Km; ma il 13% è occupato da porti, opere di difesa costiera, opere idrauliche di impianti industriali e strutture a supporto della balneazione. La conseguenza totale è che negli ultimi 20 anni il cemento nelle coste si è diffuso, complessivamente, per oltre 100 km. Infine, dei 4mila km di retrospiaggia, solo metà restano naturali. Una situazione, dunque, poco rassicurante per gli ecosistemi, oggi, sempre più minacciati da inquinamento, emergenza climatica e cemento.