L’inquinamento è una delle sciagure più gravi alle quali il nostro Pianeta abbia mai dovuto far fronte. Come vi raccontiamo, in una situazione come quella attuale, non possiamo fare altro che rimediare alla miriade di errori commessi in passato tentando di limitare i danni. Quando parliamo di questo fenomeno però troppo spesso tendiamo a pensare alle nostre auto e alle grandi industrie. In pochi, ad esempio, parlano di abbigliamento.
Numeri alla mano, questo è un grave errore. L’industria tessile di fatto è responsabile in larghissima parte dell’accumulo dei gas serra. Per rendere l’idea, nel 2015 la produzione di abbigliamento è stata pari a circa 62 milioni di tonnellate. Stime prevedono che entro il 2030 verranno raggiunti i 102 milioni annui: insomma, non un qualcosa da sottovalutare. In media oggi il l’industria tessile è responsabile per circa 1.7 tonnellate di CO2 rilasciate in atmosfera ogni anno, seconda solo al settore petrolchimico.
Quale abbigliamento è migliore?
Il punto dunque è che bisogna intervenire, ed anche in fretta. Mettere in atto una seria logica volta alla sostenibilità del settore è certamente la soluzione migliore per iniziare a riparare ai danni del passato. Nello specifico, per ciò che riguarda l’abbigliamento, paghiamo la mentalità volta al consumismo. Di fatto, secondo dati del WWF, una persona “occidentale” compra circa 20kg di vestiti all’anno.
Ma, onestamente, quanti ne indossiamo abitualmente di questi? Un dato certo non esiste, ma presumibilmente molti meno di quanti ne acquistiamo. Affermare che un capo di abbigliamento in fibra naturale sia migliore di uno sintetico è corretto. Ma evidentemente anche una camicia di lino, durante il suo processo di creazione, è capace di essere poco sostenibile. Si pensi che ad esempio per una semplice t shirt in media vengono utilizzati circa 2700 litri di acqua totali.
Insomma, la soluzione non è tanto nei materiali quanto nei comportamenti. Comprare di meno e sfruttare di più darebbe senz’altro una mano al nostro Pianeta.
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