ZANZARE REDIVIVE CON IL FREDDO: LA COLPA È DELL’UOMO E DELL’INQUINAMENTO LUMINOSO

Siamo abituati ad associare il nostro rapporto con alcuni insetti a delle stagioni ben precise. Per esempio, nel momento in cui arriva l’estate sappiamo che oltre a poter frequentare le spiagge dove siamo soliti trascorrere le nostre ferie, dovremo competere con le punture di zanzara.

Queste di fatto oggi non costituiscono un vero e proprio pericolo. Risultano però fastidiose nel momento in cui diventa impossibile sostare per più di qualche minuto all’aperto intrattenendoci in una conversazione. Soprattutto nei luoghi in cui c’è molta umidità infatti la frequentazione di questi insetti è quasi scontata. Più il tempo passa però, più ci capita di osservare o origliare zanzare durante la notte anche in inverno. Vi siete mai chiesti il perché?

Sempre colpa dell’uomo

Con il passare degli anni e lo svilupparsi dei cambiamenti climatici, le zanzare a cui siamo abituati, cioè le Culex pipienssono accompagnate da una miriade di altre specie. Queste sono in grado di sopravvivere più tempo e a temperature più basse. Tra loro anche la Aedes aegyptiun tempo portatrice della celebre febbre gialla. Questa è stata protagonista di uno studio effettuato dall’Università di Notre Dame in Indiana e pubblicato sull’American Journal of Tropical Medicine and Hygiene.

Secondo gli studiosi, l’inquinamento luminoso proveniente dalle abitudini di vita dell’uomo è la causa maggiore della “vita allungata” delle zanzare. Di conseguenza, lo è anche della loro frequentazione protratta fino alla stagione più fredda.

Sintetizzando i risultati, sembra che questi insetti mantengano comunque una predilezione verso le ore diurne. Nel momento in cui però sono esposte a luce artificiale come quella che utilizziamo all’interno delle nostre abitazioni, raddoppiano la percentuale di punture nelle ore notturne. Questo, oltre che creare un fastidio oggettivo, potrebbe scaturire anche dei seri problemi, come fa notare Giles Duffield, tra i firmatari della ricerca:

“È una scoperta importante su un fattore che viene spesso ignorato dagli epidemiologi quando fanno previsioni sui tassi di infezione da queste malattie, e dovrebbe invece essere tenuto in grande considerazione”