Quando leggiamo un determinato tipo di notizie, non possiamo fare altro che metterci le mani nei capelli dall’incredulità. Sappiamo perfettamente che l’uomo non ha attuato quasi per nulla delle logiche di preservazione del patrimonio naturale, ma continuiamo a sorprenderci di fronte al palesarsi di questa evidenza nelle località più disparate.
Esistono infatti alcuni luoghi nel mondo in cui chiunque presumerebbe che l’inquinamento sia solo un miraggio. Un esempio perfetto è sicuramente quello della catena montuosa dell’Himalaya, situata nella parte sud orientale del continente asiatico. Questo, in gergo, è chiamato il “tetto del mondo”, viste le altezze da record raggiunte da alcune vette.
Plastica, plastica ovunque…
La più celebre di queste è certamente il Monte Everest, che con i suoi 8848m costituisce il punto più alto della terraferma mondiale. Tornando al discorso dell’inquinamento, ci si aspetterebbe che luoghi del genere fossero totalmente vergini ed esenti da quella che amiamo definire pressione antropica. In realtà, purtroppo, si tratta di una vera e propria discarica a cielo aperto.
Tempo fa vi abbiamo parlato della spregiudicatezza degli alpinisti che, dovendo alleggerire il proprio peso, lasciano “per strada” i propri rifiuti. Oggi, ad aggravare ulteriormente, alcune analisi ci mostrano come a 8430 metri sono state calcolate 12 particelle di microplastica per litro di neve. Al campo base invece, all’altitudine di 5364, ce ne sono 79 per litro. Se perciò il macro inquinamento provocato dagli scalatori può essere combattuto, quello delle particelle di plastica purtroppo rischia di risultare fatale alla popolazione del Nepal.
Questa infatti fa uso, come ovvio, dell’acqua proveniente dal tetto del mondo. Nel momento in cui però questa è inquinata, non sembra essere un’ottima idea quella di ingerirla per dissetarsi.