Tra pochissime ore giungerà al termine una delle presidenze degli Stati Uniti più chiacchierate e discusse della storia. È ovvio, ogni volta ci sembra di assistere ad avvenimenti e discussioni che faranno epoca, ma in questo caso parliamo di qualcosa di davvero eclatante.
Donald Trump nel 2016, ribaltando ogni pronostico, riuscì a sedere alla scrivania dello Studio Ovale della Casa Bianca battendo la democratica Hilary Clinton sul filo del rasoio. Oggi, a 4 anni di distanza, affronta nuovamente le elezioni sperando di poter bissare il suo mandato. Al di la dei colori politici, sembra abbastanza oggettivo il fatto che durante il periodo sovracitato l’ambiente non abbia avuto la centralità che ci saremmo aspettati dalle politiche odierne statunitensi. La chiusura del mandato, effettivamente, sembra confermare questa tesi….
Coerenza fino all’ultimo
Per rendere l’idea, nel recente passato abbiamo osservato la delegazione a stelle e strisce defilarsi dal rispetto degli accordi di Parigi del 2015. Un gesto del genere non può essere condiviso secondo nessuna interpretazione, dati gli oggettivi intenti ecologici che prevedono i patti internazionali.
Per chiudere coerentemente con il pensiero negazionista dei cambiamenti climatici che lo contraddistingue, poche ore fa, Trump, ha acconsentito al taglio di circa 9.3 milioni di acri di bosco in Alaska. Si tratta della foresta di Tongass, che una volta scomparsa lascerà spazio a dei terreni utili per investimenti pubblici e privati. L’economia della zona infatti è messa in ginocchio dalla crisi dovuta alla pandemia che tutti, ovunque, stiamo vivendo.
Non si capisce però il motivo per cui a pagare il prezzo più alto debba essere la biodiversità dell’Alaska. I lupi, gli orsi bruni e le lontre caratteristiche dell’Alaska dovranno cercare un nuovo habitat. Gli abeti e i cedri invece scompariranno inesorabilmente. Con loro, in pochi giorni, si rinuncerà all’apporto nell’assorbimento di CO2, pari all’8% del totale prodotto in tutti gli Stati Uniti.