Purtroppo, come afferma la celebre legge di Murphy, “se qualcosa può andare male, lo farà“. Non si tratta di sfiducia incondizionata, ma puro e sano realismo. Avreste mai pensato che un’azione “innocente“, compiuta dall’altra parte del mondo, potrebbe danneggiare la foresta pluviale dell’Amazzonia?
Parliamo dell’acquisto e del consumo di carne: le importazioni da quella zona verso il continente europeo sono in continuo aumento. Il nesso non è poi così complicato da comprendere: più c’è richiesta, più aumenta la necessità di luoghi per l’allevamento dei capi di bestiame. Questo a sua volta, comporta una continua deforestazione a quello che è sempre stato definito il “polmone” della Terra.
Numeri impressionanti
Qualche giorno fa, Greenpeace ha rilasciato il documento “Foreste al macello II“, un focus specifico sul nesso che esiste tra queste due variabili. Qualche tempo fa fece scalpore la questione “olio di palma“, ma oggi la realtà è che l’Amazzonia deve difendersi da molteplici minacce.
Sfortunatamente, ciò che accade nel parco Ricardo Franco non è un caso isolato: situazioni simili sono comuni in molte aree dell’Amazzonia brasiliana. Impossibile al momento per chi acquista capi o carne da questa terra garantire una filiera priva di deforestazione e accaparramento delle terre
Un dato sconcertante è proprio quello relativo al parco statale Ricardo Franco, che copre un’area di 158 mila ettari di foresta amazzonica. Nel mezzo del Mato Grosso, avviene qualcosa di inspiegabile. Dopo soli 23 anni dall’istituzione, circa il 70% del territorio del parco è occupato da aziende agricole.
Questi dati potrebbero spingerci a ridurre il consumo personale, tenendo conto che grazie ad una dieta vegetariana potremmo comunque soddisfare le nostre necessità nutritive.