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Quanto costano all’ambiente i bitcoin? Lo studio su dispendio energetico e impatto ambientale

Già criticate per il carattere speculativo, le criptovalute sono accusate anche di essere nemiche dell’ambiente, poiché la produzione e l’utilizzo implicano un eccessivo consumo energetico

 

Il 2017 sarà ricordato anche come l’anno dell’affermazione dei bitcoin, la criptovaluta che negli ultimi mesi ha visto il suo valore accrescere di ben 14 volte. Un vero e proprio fenomeno finanziario e mediatico che ha suscitato non poche polemiche e che continua a far parlare di sé, nel bene e nel male, e che ora è finito anche sotto il mirino degli ambientalisti. Alla base del sistema di produzione dei bitcoin c’è il mining, un complesso processo che consente di generare nuove criptovalute e di accrescere il proprio portafoglio virtuale.

Questa attività di mining implica un’elevata potenza di calcolo che comporta quindi un alto dispendio energetico, che secondo alcuni sarebbe paragonabile alla quantità di elettricità consumata da alcuni paesi del mondo, come il Marocco o l’Irlanda, e di avere un impatto ambientale decisamente poco sostenibile. Selectra, Gruppo leader in Europa dei comparatori di offerte di energia, ha realizzato, quindi, uno studio sul costo energetico del mining svolto dalle server farm, vere e proprie “fabbriche informatiche” che generano la criptovaluta.

Il server utilizzato deve avere un’elevatissima capacità di calcolo, caratterizzata dall’hashrate, cioè la potenza di calcolo. Il profitto atteso sarà direttamente proporzionale all’hashrate, questo vuol dire che più il calcolatore è potente, maggiore sarà la sua capacità di risolvere i calcoli necessari a creare profitto. Selectra ha basato la sua analisi partendo da quattro dati:

  1. l’hashrate totale della rete, misurato in hash per secondo,
  2. la potenza elettrica dell’Antminer S9,
  3. la potenza di calcolo dell’Antminer S9, il calcolatore più moderno ed efficiente sul mercato,
  4. il numero di transazioni effettuate giornalmente.

La ricerca ha evidenziato che l’utilizzo dei bitcoin richiede una potenza elettrica di quasi 1,5 miliardi di Watt al secondo, ed un dispendio annuale di ben 13 TWh, corrispondenti alla metà della quantità di energia utilizzata dall’Irlanda, il cui consumo energetico è di circa 26 TWh annui, e paragonabile alla somma dei consumi di alcune regioni italiane, come Calabria (circa 5 TWh), Umbria (circa 5 TWh), Basilicata (circa 2,5 TWh)  e Molise (circa 1,5 TWh). Ogni transazione in bitcoin corrisponde un consumo di 100 kWh, l’equivalente di quasi 2 settimane di consumo elettrico di una famiglia-tipo italiana. Dall’analisi emerge, dunque, un impatto ambientale importante che non andrebbe trascurato.

“La nostra analisi si basa su ipotesi piuttosto ottimistiche, in quanto presupponiamo la creazione di cripto valute partendo dalla strumentazione informatica più efficiente disponibile oggi sul mercato. – Ha dichiarato Antoine Arel, co-fondatore di Selectra Italia. – Alla luce di quanto emerso, viene da chiedersi se, dal punto di vista ambientale ed energetico, il sistema Bitcoin è in grado di sopportare la sua crescita”.

Sul sito di Selectra è disponibile lo studio completo.

Photo Credits: Selectra