Uno studio ha analizzato i comportamenti di chi si scatta più selfie al giorno postandoli sui social, delineando tre categorie all’interno di quella che potrebbe essere definita una patologia vera e propria
Alzi la mano chi non ne scatta almeno uno, ogni giorno. Parliamo del selfie, e che sia per controllare la piega dei capelli o per confrontarsi sugli outfit prima di una serata, nessuno può definirsi immune, in una fascia di età che comprende tutti coloro che fanno utilizzo ossessivo di smartphone. Ma dallo scatto compulsivo di selfie si può arrivare a parlare di patologia? A quanto pare, uno studio condotto da un gruppo di psicologi della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management in India, pubblicato sull’International Journal of Mental Health and Addiction dimostrerebbe che il fenomeno della “selfite” esiste eccome.
Secondo i ricercatori le persone ossessionate dallo scatto di selfie dimostrano una scarsa autostima, e cercano di colmare assenza di attenzioni e un umore nero conformandosi al gruppo “social” in cui sono inserite cercando conferme e riconoscimenti, scattandosi foto più volte durante il giorno e postandole sui social altrettanto spesso. Lo studio ha analizzato il comportamento di diversi gruppi sottoponendo un sondaggio a 400 persone: grazie a venti affermazioni cui era possibile rispondere con un punteggio da 1 a 5, è stato possibile verificare i risultati distinguendoli su scala. Sono state così definite tre categorie di selfite: borderline, acuta e cronica.
Nella prima categoria rientra chi si scatta almeno tre selfie al giorno, ma senza necessariamente pubblicarli sui social network. Si rientra nella fase acuta se si scattano numerosi selfie, almeno tre, che vengono pubblicati poi su Instagram o Facebook; nella fase cronica i selfie scattati e pubblicati sono dai sei a salire. Che si tratti di patologia o meno, probabilmente è tutto ancora da discutere. Sta di fatto che il sondaggio è stato effettuato in India, Paese che ha il più alto numero di persone morte per colpa di selfie “pericolosi”: il fenomeno è dunque da non sottovalutare.
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