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Ecomusei, il lato green della cultura

Secondo il documento strategico, che si può facilmente trovare sul sito www.ecomusei.eu, “gli ecomusei si configurano come processi partecipati di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio culturale locale al fine di favorire uno sviluppo sociale, ambientale ed economico sostenibile. Gli ecomusei sono identità progettuali che si propongono di mettere in relazione usi, tecniche, colture, produzioni, risorse di un ambito territoriale omogeneo con i beni culturali che vi sono contenuti. Gli ecomusei sono percorsi di crescita culturale delle comunità locali, creativi e inclusivi, fondati sulla partecipazione attiva degli abitanti e la collaborazione di enti e associazioni”. Proprio recentemente gli ecomusei italiani hanno colto l’occasione della Conferenza generale di Icom a Milano a luglio e la presenza in Italia di migliaia di professionisti museali del mondo intero per invitare a partecipare a un Programma speciale di dibattiti e visite tutti i colleghi che si occupano di progetti comunitari di gestione del patrimonio culturale per lo sviluppo locale: ecomusei, musei di comunità, musei locali che sviluppano strategie territoriali e coinvolgono la comunità. Gli ecomusei sono dunque musei diffusi che cercano di far comprendere al territorio la sua identità e la sua vocazione. Gli ecomusei sono stati pensati in maniera diversa, cambiando l’approccio canonico e le relazioni tra persone e museo. Nati in un contesto in cui i cambiamenti sociali dati dall’urbanizzazione stavano mutando gli equilibri e la sopravvivenza dell’ecosistema di attività millenarie diffuse in un dato territorio, sono diventati importantissimi strumenti di conservazione. Inizialmente, furono pensati come strumento per tutelare le società rurali e per conservare il patrimonio culturale proprio di una località. Questi musei coinvolgono vari attori sul territorio e sono prima di tutto reti. L’obiettivo dell’ecomuseo è quello di promuovere, ricostruire e testimoniare la memoria storica delle tradizioni. In Italia, questi musei sono arrivati negli anni Novanta. Oggi, sul nostro territorio nazionale ci sono diverse realtà ecomuseali, spesso molto diversificate. Accanto a iniziative isolate e singoli musei della tradizione, esistono reti di ecomusei, realizzati grazie a leggi regionali specifiche.

 

 

Gli ecomusei in Italia

Per capire come funziona un ecomuseo, partiamo dal dire che l’idea dell’ecomuseo in Italia è stata presentata per la prima volta nel 1994  e, nel 1997 nasce l’ecomuseo del Lago d’Orta. Racconta Andrea Del Duca, direttore dell’ecomuseo del Lago d’Orta e del Mottarone: “L’ecomuseo non è composto da singoli musei distinti, ma da tutti i musei del territorio uniti da un unico scopo: far conoscere ad abitanti e a turisti le potenzialità e le ricchezze del proprio territorio”.  In pratica, si vogliono condividere esperienze, domande, progetti per il futuro, ma anche difficoltà e tutte le opportunità di scambio e collaborazione per il futuro.  Sul Lago d’Orta sono legate a doppio filo tutte le attività del lago: dal museo dell’ombrello a quello sui rubinetti. La rubinetteria è un distretto industriale presente in questi territori, fin dal 1800. La moka è nata sul Lago d’Orta, così come la pentola a pressione e varie aziende del casalingo, come Alessi e Girmi. Altro tratto distintivo del Lago d’Orta è la tradizione della costruzione degli ombrelli: in origine, gli ombrelli erano parasole, usati dalle signore per rimanere con una carnagione bianchissima. I costruttori di ombrelli andavano in città, ma gli apprendisti tornavano a Mottarone per apprendere l’arte dai maestri del luogo. E, poi, ancora il legno, gli strumenti musicali a fiato (come i sassofoni). L’ecomuseo del Lago d’Orta comprende anche il geoparco, un parco protetto dall’Unesco. Il legame con il territorio è molto forte: escursioni paesaggistiche si alternano ai mestieri, alle chiese, alle opere d’arte. Sul lago d’Orta, spiega Andrea del Duca, direttore dell’ecomuseo, “abbiamo il vantaggio che il paesaggio abbraccia tutto: le relazioni tra i monti e il nostro lago sono molto strette”. Il Lago d’Orta fino al 1700 era un lago lombardo, Poi hanno posizionato il confine tra Lombardia e Piemonte esattamente in mezzo. Il gergo locale segreto si chiama Taruff e non è un dialetto: sono una serie di parole inventate dai locali per parlare tra di loro e non farsi capire. Il Lago d’Orta era la più grande massa d’acqua acidificata del mondo: l’industria dei tessili che si era sviluppata in queste zone a partire dagli anni Venti, aveva causato un alto tasso di inquinamento che aveva provocato la rottura nella catena alimentare. Negli anni ’60/’70 il Lago d’Orta era un lago morto. I filtri sono arrivati negli anni Ottanta, quando sono state istituite delle leggi nazionali sugli sversamenti incontrollati. Alla fine degli anni Ottanta c’è stato un grosso intervento di bonifica: il carbonato di calcio è stato immesso nel lago per riequilibrare l’acidità. All’epoca c’era una barca che girava il lago (foto) e immetteva direttamente il carbonato di calcio nell’acqua. Da quell’operazione, nata grazie all’ecomuseo del lago d’Orta, il PH è tornato al livello neutro, i pesci sono ritornati a nuotare nelle acque. Recentemente sono state scoperte le cozze di lago: scomparse e poi riformate in via naturale.

 

 

La nascita degli ecomusei

Ma quando sono nati gli ecomusei? L’idea è della fine del secolo scorso: Hugues de Varine, archeologo, storico e museologo francese che ha viaggiato moltissimo in territori mediorientali, con Henri Rivière, l’ex direttore e consigliere permanente dell’International Council of Museums e Serge Antoine, il consigliere del Ministero dell’Ambiente, durante una riunione, pensano i musei in una maniera diversa, condivisa, dando vita agli ecomusei. Siamo nel 1971. Oggi, il fenomeno degli ecomusei, sia in Italia che all’estero, è in espansione. L’obiettivo primario del museo diffuso, è quello di far riscoprire caratteri distintivi al territorio. Questo avviene attraverso l’edificazione dei distretti culturali: una rete di musei interconnessa con luoghi storici, artistici e legati alla tradizione locale. Quello che rende l’ecomuseo una realtà unica è il mescolarsi della cultura con il folklore. La vera rivoluzione degli ecomusei è anche data dall’interattività: i residenti del luogo vengono coinvolti nelle attività ecomuseali, cosicché siano spinti a valorizzare i propri luoghi di origine. Un altro tratto innovativo è dato dagli itinerari tematici: coinvolgono più musei sul territorio e riguardano uno stesso filone. Gli ecomusei possono avere anche una funzione socioeconomica: facendo conoscere e valorizzando il patrimonio culturale e produttivo locale, si incentivano anche gli scambi economici. È proprio l’approccio che cambia: il visitatore non è più attore passivo, ma partecipa attivamente alle attività del museo stesso. Vengono valorizzate le professioni e i mestieri, quel “saper fare” così bello e così antico a cui si sta gradualmente ritornando.