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Veganismo, proselitismo attraverso l’arte

Non solo cibo: il mondo del veganismo è davvero molto complesso, e ultimamente è arrivato ad attirare l’attenzione del pubblico con il ricco, quasi scientificamente dettagliato panorama dei lavori impressionanti dell’artista pluripremiata Amy Guidry. La pittrice americana ha combinato il suo impegno nel veganismo con le sue decantate abilità tecniche, per creare dipinti descritti da un critico come “al confine tra una foto realistica e il surrealismo pop”. La vita si sovrappone alla morte, e il mondo naturale alla distruzione dell’inquinamento. Animali senza testa e paesaggi distrutti popolano le sue tele, suscitando domande sulla relazione umana con il pianeta, e il ciclo della vita. «Il nostro utilizzo degli animali e l’inquinamento hanno condotto a pratiche che potrebbero essere considerate una bizzarra perversione della natura», racconta l’artista. «Abbiamo creato un nuovo mondo molto lontano da quello originario del nostro pianeta. Il nostro cibo non è più qualcosa che coltiviamo o cacciamo noi stessi, ma preincartato, trasformato, e prodotto in serie. ‘Naturale’ è diventato innaturale». Amy diventò vegetariana circa vent’anni fa: “Prima di allora pensavo fosse sufficiente comprare cosmetici non testati su animali o pellicce finte, non sapevo cosa realmente accadesse nei macelli. Presumevo che ci fossero leggi in atto e che tutto fosse fatto umanamente. In un certo senso, probabilmente avevo solo evitato di pensare a tutto quanto. Ho iniziato ad essere vegetariana quasi 20 anni fa. Una volta lessi resoconti su resoconti sulla crudeltà verso gli animali e delle condizioni disagiate sia per gli animali che per i lavoratori, decisi di diventare vegetariana sul momento. Dopo alcuni anni feci il passo verso il veganismo perché sentivo di non star facendo abbastanza e realizzai che stavo ancora sostenendo la crudeltà verso gli animali mangiando uova e prodotti caseari. All’inizio pensavo sarebbe stato difficile ma non lo è stato davvero. Essere vegana è una delle decisioni migliori che io abbia mai preso”.

 

Il potere dell’arte a servizio del veganismo

Crescendo, Amy è diventata più consapevole del potere dell’arte e dell’immagine, e l’ha usata come una piattaforma per aumentare la consapevolezza e iniziare un dialogo. «Io vedo il veganismo come un’estensione dell’occuparsi del benessere degli animali e del pianeta, così una volta introdotto nella mia vita, l’ho naturalmente incluso anche nel mio lavoro, che esplora la connessione tra tutte le forme di vita ed il processo del ciclo della vita. Questo comprende anche l’interdipendenza della razza umana tra se stessa e con il resto del regno animale, così come con il pianeta stesso. Uno non può esistere senza l’altro, pertanto è della massima importanza che ci occupiamo l’uno dell’altro e di ogni essere vivente. Ci sono una miriade di questioni relative al benessere e alla conservazione degli animali e dell’ecologia, l’allevamento intensivo e la deforestazione per citarne alcune – così io sento di avere ancora molto da fare». Uno dei marchi di fabbrica dell’artista è dividere idealmente gli animali in parti, solo teste o membra. Questo si ispira all’idea che gli esseri umani tendono a vedere la natura come un mezzo per raggiungere uno scopo. Gli animali sono eliminati come “cose”, non più completi, esseri viventi, sono pezzi e parti, etichettati come: posteriore, ali, petto, gamba, e così via. L’artista rappresenta questa visione comune attraverso le teste degli animali non più connessi con i loro corpi reali. Allo stesso tempo, li associa con personalità o tratti che possono essere considerati più tipicamente ‘umani’ (per esempio, scegliendo animali con occhi di colore chiaro opposti ai grandi occhioni scuri o giocando sulle loro espressioni facciali) per enfatizzare la loro importanza ed eliminare l’idea che gli animali siano meno degli uomini. Le persone tendono ad empatizzare con coloro che sentono somigliare o comportarsi come loro stessi. Quindi questa è una sottile tattica che Amy usa per raccogliere sostegno e interesse dal pubblico.

 

Veganismo e ispirazione artistica surrealista

Questi tratti distintivi sono in stretta connessione con la presentazione surrealista del lavoro, uno stile che Amy ha studiato a lungo. «Il Surrealismo mi ha interessata da molto tempo. Ho amato le opere di pittori come Salvador Dalì o Rene Magritte praticamente da tutta la vita, ma ho iniziato con opere più rappresentative quando ero a scuola. Nel corso del tempo la mia opera è diventata progressivamente più surreale dato che volevo mettermi alla prova non solo da un punto di vista tecnico ma anche concettuale. Penso che tutti gli artisti attraversino delle fasi, provando cose, sperimentando materiali e stili, fino a che non trovano qualcosa che comunica loro davvero», spiega Amy. Usa pitture acriliche principalmente per convenienza ma anche per evitare di usare olii e prodotti chimici come la trementina. In termini di procedimento, parte sempre con schizzi molto piccoli, rudimentali. Quando ha tempo, riordina l’album degli schizzi per trovare l’idea che le piace di più in quel particolare momento e quelle che funzionano meglio all’interno del corpo del lavoro d’insieme. Uno dei dipinti più palesemente a favore del veganismo di Amy è “Food or pet”. Con un cane di fronte ad un maiale, crea un confronto diretto tra gli animali che la società ritiene meritevole di essere animale da compagnia, e quelli maltrattati e uccisi come cibo. «Di solito l’arte non è così diretta, c’è spesso un tabù nel mondo delle belle arti – sostiene Amy -, ma io ero più focalizzata a trasmettere il mio messaggio, così l’ho ridotta giusto ad uno sfondo nero e ho messo un cane e un maiale uno di fronte all’altro. Entrambi sono circa della stessa dimensione e guardandosi dritti, danno una sensazione visiva di uguaglianza. Ho scelto il cane perché sono considerati animali adorabili ed è in linea di massima considerato un tabù mangiarli. Ho scelto il maiale in quanto animale opposto poiché sono ritenuti altrettanto intelligenti quanto i cani, tuttavia sono comunemente uccisi per essere mangiati. A parte le immagini, ho usato il titolo come un’opportunità per porre la domanda, come (e perché) si sceglie tra quali animali devono essere da compagnia e quali animali sono cibo?». È una domanda provocatoria, ma non deliberatamente tale, per un’artista che non ha mai intenzionalmente creato per provocare. A dispetto del successo della sua carriera, avendo vinto premi e accumulato esibizioni e vendite, Amy non è ancora abituata alla reazione che suscita la sua opera. «Sono sempre piacevolmente sorpresa quando a qualcuno piace il mio lavoro, ho mostrato i miei lavori molte volte nelle gallerie ma ancora sono nervosa prima di una mostra. Non so se supererò mai l’idea di mettere me stessa là fuori. È un modo molto vulnerabile di vivere, sempre aperta a responsi sia positivi che negativi. Complessivamente, la risposta è stata molto positiva e sono molto grata per questo». Alla sua prima mostra personale, non sapeva cosa aspettarsi e fu sorpresa di ricevere una reazione così forte e una così grande affluenza: «All’inizio sono rimasta sorpresa da quante persone che non erano vegane hanno apprezzato pezzi particolati, ma sono arrivata a capire che sebbene non fossero vegani c’erano degli aspetti con i quali concordavano, che è immensamente utile quando un’artista cerca di diffondere il suo messaggio».