Dagli Stati Uniti arrivano due notizie da tenere bene a mente per chi si occupa di cibo bio o, come viene chiamato nei paesi anglosassoni, “organic food”: è in aumento a livello mondiale la richiesta di alimenti biologici ma, allo stesso tempo, le aziende agricole che decidono di convertirsi al cibo green lamentano dei tempi troppo lunghi perché venga loro assegnata la necessaria certificazione.
Cibo bio: è boom mondiale
Solo negli Stati Uniti, secondo un recente studio promosso dalla società di ricerca Euromonitor, l’appetito dei consumatori per cereali biologici, yogurt e altri prodotti biologici confezionati è cresciuto, raggiungendo una cifra stimata di circa 13,4 miliardi di dollari nel 2015 dai 12,8 del 2014. In cima alla classifica dei prodotti biologici più richiesti, secondo Catherine Greene, una economista esperta di agricoltura che lavora per il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, ci sono carote, lattuga e mele, al secondo posto vengono i latticini, seguiti poi da mais e soia biologici. Ancora secondo Elanor Starmer, amministratore del settore marketing dell’Usda (US Department of Agriculture), “le vendite globali di prodotti biologici hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 80 miliardi nel 2014 e si prevede che tale numero possa solo andare a crescere nell’arco del prossimo decennio”. “I consumatori sono più interessati che mai a capire da dove il loro cibo provenga – aggiunge Starmer –, come sia coltivato e quali siano i diversi prodotti utilizzati nel processo
Tempi lunghi e costi alti per la certificazione bio: il rischio è il fallimento
A fronte di questo esponenziale aumento nella domanda di cibo bio, esiste, dall’altra parte, una carenza di offerta. I dati sono ancora quelli dell’Usda, secondo il quale solo l’1% del terreno agricolo statunitense può essere effettivamente annoverato tra quello dedicato alle coltivazioni e agli allevamenti bio. Una quantità così inferiore alle necessità è dovuta a due fattori principali: i costi e i tempi. La conversione di terreni all’agricoltura biologica – e il mantenere poi effettivamente biologici tali possedimenti – non si riduce semplicemente al piantare sementi biologiche. Nelle coltivazioni biologiche è vietato l’uso di fertilizzanti sintetici e pesticidi. Si deve invece contare su pratiche come la rotazione delle colture, le colture di copertura e i concimi organici compostati per arricchire il suolo e prevenire la comparsa di insetti ed erbacce. I regolamenti federali richiedono poi l’uso di sementi biologiche, che sono difficili da trovare, e vietano assolutamente l’utilizzo di semi geneticamente modificati, microbi o fanghi di depurazione. Un esempio lo offre Wendell Naraghi, un coltivatore di frutteti della Central Valley in California: il costo del lavoro per il suo frutteto biologico è circa tre volte superiore a quello del resto dei suoi frutteti. Le erbacce, infatti,
Anche in Italia il bio è bello
Il nostro Paese non si discosta dal trend mondiale: la richiesta di cibo bio è infatti in netta crescita anche da noi. Nel periodo che va da maggio 2015 a maggio 2016, secondo i dati di Assobio, considerando le vendite della grande distribuzione, si è avuto un +21% delle vendite. Ben 4,5 milioni di famiglie (il 18% del totale) hanno consumato abitualmente prodotti biologici, con una crescita del 17% solo in un anno, e 3,4 milioni di famiglie li hanno consumati saltuariamente (+11% sull’anno precedente). Se si aggiungono anche le famiglie che hanno scelto solo occasionalmente tali tipi di prodotti, la cifra delle cucine in cui sono entrati arriva a 20 milioni. In aumento anche la vendita di alimenti bio nei circa 1200 punti vendita del settore specializzato: un notevole +13,5%. Il fatturato complessivo derivante dalle vendite del cibo bio in Italia arriva a 4,3 miliardi nel 2015. Ecco alcuni dati proposti da Antonio Sposicchi, direttore di Anabio, Associazione del biologico: “Sono 55.433 gli operatori bio che coltivano circa 1,4 milioni di ettari di terra, oltre l’11% di quella a disposizione. In crescita anche la zootecnia. I produttori beneficiano di questa situazione: all’origine il prezzo del latte bio cresce del 145% contro un calo del 13% di quello tradizionale. Le mele hanno un +5% per il bio contro il -10% di quelle coltivate tradizionalmente. Il prezzo del grano duro sale per entrambi i mercati, ma del 41% per il bio e solo dell’8% per l’altro”.