Uno studio condotto da un team internazionale di scienziati e pubblicato recentemente sulla rivista scientifica “Proceedings of the Royal Society B” ha dato una nuova motivazione per combattere con determinazione l’uso sconsiderato di antibiotici negli allevamenti: lo sterco dei bovini trattati con un antibiotico comunemente usato riesce a produrre quasi il doppio (poco meno) del metano comunemente prodotto dallo sterco di animali non trattatati con tali medicinali. Gli animali antibiotic-fed aumentano le emissioni di metano
Gli scienziati hanno testato lo sterco di dieci mucche. Cinque delle mucche erano state sottoposte ad un ciclo di tre giorni di tetraciclina, un antibiotico comune, le altre cinque non avevano ricevuto nessun medicinale. I ricercatori hanno poi misurato le emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto causate dal letame, scoprendo che dallo sterco degli animali trattati
I primi studi sulla nocività degli antibiotici negli allevamenti
Questo nuovo studio va ad aggiungersi alla documentazione che da decenni ormai viene ciclicamente sottoposta all’attenzione dalla comunità scientifica e che riguarda un grave effetto dovuto all’uso degli antibiotici nell’allevamento intensivo di bestiame: l’aumento della resistenza agli antibiotici stessi con la conseguente creazione di quelli che vengono chiamati i “super-bugs”, o super batteri. La prima ricerca in tale senso è datata 1976. In quell’anno il dottor Stuart Levy, medico e direttore del Tuft University’s Center for Adaptation Genetics and Drug Resistance, aveva pubblicato i risultati di uno studio condotto con alcuni colleghi per determinare l’impatto che l’aggiunta di antibiotici al mangime dei polli di un allevamento avrebbe avuto sullo stesso pollame ma anche nei lavoratori agricoli che entravano in contatto con il bestiame. I risultati si rivelarono scioccanti. I polli, dopo appena una settimana dal trattamento, avevano sviluppato batteri resistenti alla tetraciclina, e lo stesso avevano hanno fatto i lavoratori agricoli che si erano presi cura di loro. Quarant’anni dopo la situazione è andata decisamente peggiorando, per vastità del fenomeno e per incidenza della resistenza agli antibiotici sperimentata. Una diffusione eccessiva di antibiotici in tutto il mondo. Gli antibiotici vengono utilizzati negli allevamenti per differenti motivazioni: possono essere usati in caso di malattia del bestiame, per aiutare gli animali a superare tale malattia; vengono poi utilizzati come “prevenzione” per evitare che si ammalino; in alcuni casi, infine, gli antibiotici vengono scelti come vera e propria terapia di ingrassamento, come spiega Rebecca Spector, direttore nella West Coast del Centro per la sicurezza alimentare (Center for Food Safety), secondo la quale “molti di questi antibiotici vengono regolarmente utilizzati su animali che non sono malati, al fine di accelerare la loro crescita o per prevenire le malattie causate da condizioni di vita caratterizzate da sovraffollamento ed igiene precaria”. La Food and Drug Administration ha stabilito che negli Stati Uniti le vendite di antibiotici approvati per l’uso sul bestiame sono aumentate del 23% tra il 2009 e il 2014. L’80% circa di tutti gli antibiotici venduti ogni anno sono quelli utilizzati negli allevamenti. Secondo uno studio () del “Proceedings of the National Academy of Science” degli Stati Uniti d’America, si stima che entro il 2030 il consumo mondiale di antibiotici aumenterà del 67%, con circa un terzo di tale aumento causato dal cambiamento delle pratiche di allevamento nei paesi in via di rapido sviluppo, come ad esempio in Cina, già ora leader mondiale nell’uso di antibiotici per il bestiame. L’Asia è la zona del mondo che desta la maggior preoccupazione in quanto è qui che la domanda di prodotti animali sta crescendo in modo drammatico mentre sono pressoché inesistenti i regolamenti che disciplinano l’uso di antibiotici sugli animali. L’industria del bestiame in Cina da sola potrebbe presto consumare quasi un terzo degli antibiotici di tutto il mondo. I paesi con i maggiori incrementi previsti nel consumo di antibiotici sono Myanmar (205%), Nigeria (163%), Perù (160%) e il Vietnam (157%). In Europa, i regolamenti e i controlli sono decisamente maggiori. Già dal 2006, infatti, è stato vietato l’uso degli antibiotici a scopo preventivo e a marzo del 2016 lo stesso Europarlamento si è pronunciato su questo argomento stabilendo che, per contrastare la crescente resistenza degli antibiotici ai batteri, quali salmonella e campylobacter, è necessario limitare l’uso dei farmaci antimicrobici esistenti e sviluppare nuovi medicinali. La proposta prevede di aggiornare la normativa europea in materia di medicinali a uso veterinario e il Parlamento chiede di vietare il trattamento antibiotico collettivo e preventivo degli animali e di prendere misure atte a stimolare la ricerca di farmaci di nuova generazione. Nonostante ciò, i rapporti ESVAC (The EuropeanSurveillance of Veterinary AntimicrobialConsumption) vedono l’Italia tra i primi posti per la quantità di agenti antimicrobici venduti, soprattutto tetracicline, penicilline, sulfonamidi e macrolidi che, nell’insieme, rappresentano circa il 75% del venduto nel settore veterinario nazionale. Il trend è comunque in calo: del 29% nel 2013, del 20% nel 2012 e del 13% nel 2011, segno che stanno dando notevoli risultati le politiche nazionali di diminuzione di uso di antibiotici nel nostro Paese.
Geni modificati resistono alle terapie: verso l’era post-antibiotica
Dall’Organizzazione Sanitaria Mondiale arriva un avvertimento molto forte con la previsione della fine dell’uso degli antibiotici a causa di super batteri resistenti ai medicinali sino ad ora conosciuti. Staremmo quindi entrando in quella che viene definita l’era post-antibiotica, nella quale la resistenza agli antibiotici potrebbe causare ogni anno più morti del cancro. E i risultati di una ricerca condotta in Cina e pubblicata nella rivista medica britannica “The Lancet Infectious Diseases” porterebbero ulteriori conferme a questa fosca previsione. Gli scienziati hanno infatti scoperto una mutazione di un batterio che lo ha reso resistente a un antibiotico che viene considerato come “ultima linea di difesa” contro i ceppi virulenti di Escherichia Coli e della polmonite.