Ambiente

Troppi antibiotici: le mucche diventano inquinanti

Uno studio condotto da un team internazionale di scienziati e pubblicato recentemente sulla rivista scientifica “Proceedings of the Royal Society B” ha dato una nuova motivazione per combattere con determinazione l’uso sconsiderato di antibiotici negli allevamenti: lo sterco dei bovini trattati con un antibiotico comunemente usato riesce a produrre quasi il doppio (poco meno) del metano comunemente prodotto dallo sterco di animali non trattatati con tali medicinali.  Gli animali antibiotic-fed aumentano le emissioni di metano


Gli scienziati hanno testato lo sterco di dieci mucche. Cinque delle mucche erano state sottoposte ad un ciclo di tre giorni di tetraciclina, un antibiotico comune, le altre cinque non avevano ricevuto nessun medicinale. I ricercatori hanno poi misurato le emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto causate dal letame, scoprendo che dallo sterco degli animali trattati 7dd32db3-79fd-4936-874b-92a18094d338con antibiotici proveniva un aumento costante di emissioni di metano. Gli scienziati hanno inoltre scoperto che gli antibiotici riescono a modificare i microrganismi presenti all’interno degli scarabei stercorari che si alimentano con il letame. Tale constatazione è importante perché indica che dare antibiotici al bestiame può influenzare anche altri animali selvatici e non solo il target primario, quindi i bovini. Come ha spiegato bene uno degli autori dello studio, Tobin Hammer, “in questo caso non sono stati trovati cambiamenti nelle dimensioni o nel numero degli scarabei, e questo è un bene, vista la notevole importanza, dal punto di vista ecologico, di questi coleotteri. Tuttavia è possibile che i farmaci vadano ad influenzarli in altri modi, che i ricercatori ancora non hanno esaminato, come nel modificare il loro comportamento”. Secondo Hammer è necessario un ulteriore lavoro per determinare i vari modi in cui i diversi tipi di antibiotici potrebbero influenzare diverse specie animali.

 

I primi studi sulla nocività degli antibiotici negli allevamenti

Questo nuovo studio va ad aggiungersi alla documentazione che da decenni ormai viene ciclicamente sottoposta all’attenzione dalla comunità scientifica e che riguarda un grave effetto dovuto all’uso degli antibiotici nell’allevamento intensivo di bestiame: l’aumento della resistenza agli antibiotici stessi con la conseguente creazione di quelli che vengono chiamati i “super-bugs”, o super batteri. La prima ricerca in tale senso è datata 1976. In quell’anno il dottor Stuart Levy, medico e direttore del Tuft University’s Center for Adaptation Genetics and Drug Resistance, aveva pubblicato i risultati di uno studio condotto con alcuni colleghi per determinare l’impatto che l’aggiunta di antibiotici al mangime dei polli di un allevamento avrebbe avuto sullo stesso pollame ma anche nei lavoratori agricoli che entravano in contatto con il bestiame. I risultati si rivelarono scioccanti. I polli, dopo appena una settimana dal trattamento, avevano sviluppato batteri resistenti alla tetraciclina, e lo stesso avevano hanno fatto i lavoratori agricoli che si erano presi cura di loro. Quarant’anni dopo la situazione è andata decisamente peggiorando, per vastità del fenomeno e per incidenza della resistenza agli antibiotici sperimentata. Una diffusione eccessiva di antibiotici in tutto il mondo. Gli antibiotici vengono utilizzati negli allevamenti per differenti motivazioni: possono essere usati in caso di malattia del bestiame, per aiutare gli animali a superare tale malattia; vengono poi utilizzati come “prevenzione” per evitare che si ammalino; in alcuni casi, infine, gli antibiotici vengono scelti come vera e propria terapia di ingrassamento, come spiega Rebecca Spector, direttore nella West Coast del Centro per la sicurezza alimentare (Center for Food Safety), secondo la quale “molti di questi antibiotici vengono regolarmente utilizzati su animali che non sono malati, al fine di accelerare la loro crescita o per prevenire le malattie causate da condizioni di vita caratterizzate da sovraffollamento ed igiene precaria”.  La Food and Drug Administration ha stabilito che negli Stati Uniti le vendite di antibiotici approvati per l’uso sul bestiame sono aumentate del 23% tra il 2009 e il 2014. L’80% circa di tutti gli antibiotici venduti ogni anno sono quelli utilizzati negli allevamenti. Secondo uno studio () del “Proceedings of the National Academy of Science” degli Stati Uniti d’America, si stima che entro il 2030 il consumo mondiale di antibiotici aumenterà del 67%, con circa un terzo di tale aumento causato dal cambiamento delle pratiche di allevamento nei paesi in via di rapido sviluppo, come ad esempio in Cina, già ora leader mondiale nell’uso di antibiotici per il bestiame. L’Asia è la zona del mondo che desta la maggior preoccupazione in quanto è qui che la domanda di prodotti animali sta crescendo in modo drammatico mentre sono pressoché inesistenti i regolamenti che disciplinano l’uso di antibiotici sugli animali. L’industria del bestiame in Cina da sola potrebbe presto consumare quasi un terzo degli antibiotici di tutto il mondo. I paesi con i maggiori incrementi previsti nel consumo di antibiotici sono Myanmar (205%), Nigeria (163%), Perù (160%) e il Vietnam (157%). In Europa, i regolamenti e i controlli sono decisamente maggiori. Già dal 2006, infatti, è stato vietato l’uso degli antibiotici a scopo preventivo e a marzo del 2016 lo stesso Europarlamento si è pronunciato su questo argomento stabilendo che, per contrastare la crescente resistenza degli antibiotici ai batteri, quali salmonella e campylobacter, è necessario limitare l’uso dei farmaci antimicrobici esistenti e sviluppare nuovi medicinali. La proposta prevede di aggiornare la normativa europea in materia di medicinali a uso veterinario e il Parlamento chiede di vietare il trattamento antibiotico collettivo e preventivo degli animali e di prendere misure atte a stimolare la ricerca di farmaci di nuova generazione. Nonostante ciò, i rapporti ESVAC (The EuropeanSurveillance of Veterinary AntimicrobialConsumption) vedono l’Italia tra i primi posti per la quantità di agenti antimicrobici venduti, soprattutto tetracicline, penicilline, sulfonamidi e macrolidi che, nell’insieme, rappresentano circa il 75% del venduto nel settore veterinario nazionale. Il trend è comunque in calo: del 29% nel 2013, del 20% nel 2012 e del 13% nel 2011, segno che stanno dando notevoli risultati le politiche nazionali di diminuzione di uso di antibiotici nel nostro Paese.

 

Geni modificati resistono alle terapie: verso l’era post-antibiotica

Dall’Organizzazione Sanitaria Mondiale arriva un avvertimento molto forte con la previsione della fine dell’uso degli antibiotici a causa di super batteri resistenti ai medicinali sino ad ora conosciuti. Staremmo quindi entrando in quella che viene definita l’era post-antibiotica, nella quale la resistenza agli antibiotici potrebbe causare ogni anno più morti del cancro. E i risultati di una ricerca condotta in Cina e pubblicata nella rivista medica britannica “The Lancet Infectious Diseases” porterebbero ulteriori conferme a questa fosca previsione. Gli scienziati hanno infatti scoperto una mutazione di un batterio che lo ha reso resistente a un antibiotico che viene considerato come “ultima linea di difesa” contro i ceppi virulenti di Escherichia Coli e della polmonite. 1aa0ffa1-87bb-401e-a5bb-c3aa844a7641Più precisamente gli studiosi hanno trovato batteri colistina-resistenti in un allevamento cinese di maiali. Dopodiché hanno osservato la presenza di tali batteri anche nella carne cruda e infine negli esseri umani. La colistina, un antibiotico usato da 50 anni più sugli animali che sugli esseri umani, viene dato alle persone solo quando tutti gli altri antibiotici si siano dimostrati inefficaci. La mutazione resistente, il cui gene è stato soprannominato MCR-1, è stata trovata in un quinto degli 804 animali osservati, nel 15% dei 523 campioni di carne cruda testati e nell’1% dei 1.332 pazienti osservati nei 3 anni di studio. “I legami tra uso della colistina negli allevamenti – sostengono i ricercatori -, resistenza alla colistina negli animali macellati, resistenza alla colistina nel cibo e, infine, resistenza alla colistina negli esseri umani sono ora comprovati”.  Lo studio, condotto da un team di scienziati australiani, cinesi e britannici e finanziato dal Ministero della Scienza e della Tecnica cinese e dal National Natural Science Foundation of China, ha sottolineato come la colistina possa essere tossica per i reni, motivo per cui ne è stato abolito l’uso per le persone nel 1970. Ma è ancora comunemente data al bestiame in tutto il mondo per trattare o prevenire le malattie. La Cina, tutt’oggi la più grande produttrice di pollame e carne di maiale al mondo, è uno dei maggiori consumatori di colistina nel settore di allevamento del bestiame, antibiotico che nel 2010 era il quinto più venduto tra tutti gli antimicrobici in Europa. Nonostante per il momento la presenza del gene MCR-1 sia limitata alla Cina, è probabile che esso si diffonda ulteriormente se l’uso eccessivo di antibiotici non si fermerà. “Se la diffusione dell’MCR-1 diventerà globale – secondo il professor Timothy Walsh della University of Cardiff, uno dei ricercatori partecipanti allo studio – (anche se sarebbe meglio dire quando e non se), e il gene si alleerà con gli altri geni colpevoli della resistenza agli antibiotici, cosa che appare inevitabile, allora avremo molto probabilmente raggiunto l’inizio dell’era post-antibiotica”.

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