L’idea sembra semplice e virtuosa: usare il nylon, soprattutto quello presente nelle reti da pesca, per dare vita a nuovi prodotti, dagli skateboard agli occhiali da sole ai tessuti sintetici per gli indumenti sportivi. Ma a rendere tutto più complicato è il lungo processo che sta dietro alla lavorazione e al riciclo del nylon, uno dei materiali più inquinanti e meno eco-sostenibili in commercio.
Un’invasione di nylon nei nostri mari
Il nylon, una fibra sintetica composta da polimeri messa in commercio nel 1939 a New York, si espanse in particolare dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Fino a quel momento, infatti, cotone e lana erano i must nel mercato dei tessuti. In poco tempo i tessuti sintetici, e tra di essi il nylon, conquistarono buona parte di tale mercato arrivando presto ad una quota pari al 25%. Il nylon, usato inizialmente come filamento per i vestiti delle donne, divenne fondamentale anche per altre industrie, come ad esempio quella militare, in particolare nella produzione di prodotti come tende, paracaduti, e uniformi,
A complicare le cose c’è la difficoltà di recuperare le reti dalle profondità degli oceani e poi quella di riciclare tale materiale. Stephen Johnston, professore associato di ingegneria plastica presso l’Università del Massachusetts Lowell, sostiene infatti che “dopo averla trascinata con una barca dal fondo dell’oceano, la rete risulta molto difficile da pulire prima che possa essere riciclata”. Il problema è quello legato alla contaminazione. A differenza dei metalli e del vetro, che vengono fusi ad alte temperature, il nylon viene fuso a una temperatura più bassa. Così alcuni contaminanti – come elementi non riciclabili e microbi o batteri – riescono a sopravvivere. Questo è il motivo per cui il nylon deve essere pulito a fondo prima ancora che il processo di riciclo abbia inizio.
Negli Usa una nuova primavera per il nylon riciclato
Così, tre anni fa, tre amici di Los Angeles, David Stover, Ben Kneppers and Kevin Ahearn, decidono di lasciare il loro lavoro e fondare la Bureo, una società che oggi si occupa di realizzare skateboard e occhiali da sole con nylon riciclato. Come ricorda Stover, l’idea nacque dall’osservazione di quanta spazzatura fosse dispersa nel mare. “Quando abbiamo provato a capire quali fossero i rifiuti presenti nell’oceano – sostiene – abbiamo appreso che esiste un flusso costante di reti da pesca in nylon oggetto di abbandono in mare ogni anno, reti che possono restare lì per generazioni. Questo è infatti un materiale che non si rompe”. Oggi l’azienda paga pescatori in Cile per raccogliere le vecchie e abbandonate reti da pesca in nylon per poi sottoporle a un lungo processo di riciclo e trasformarle in skateboard e occhiali da sole. Negli Stati Uniti molti altri brand stanno scegliendo di utilizzare nylon riciclato per le loro produzioni, dalla società Outerknown di Los Angeles, specializzata nel realizzare abbigliamento sportivo da esterni, al gigante dei costumi da bagno Speedo (con il tessuto Powerflex Eco) alla californiana Patagonia, che oggi produce una cinquantina di prodotti contenenti nylon riciclato in diverse percentuali (il loro giaccone Torrentshell, ad esempio, è fatto al 100% con nylon riciclato).
Dall’Italia arriva il processo di riciclo del nylon
Tutte queste realtà si stanno sviluppando negli Stati Uniti, grazie anche alla maggiore attenzione che sempre più i responsabili delle aziende di tessuti stanno prestando alla eco-sostenibilità dei loro prodotti. In realtà, però, un altro punto in comune tra tutte queste imprese si trova nel nostro Paese. Si tratta dell’azienda manifatturiera Aquafil, prima realtà nel mondo ad avere studiato per anni il nylon e ad averlo utilizzato come prodotto riciclato. È stato così inventato il brand Econyl, che l’azienda italiana ha poi venduto anche ai grandi colossi americani. Secondo Giulio Bonazzi, Ceo del gruppo Aquafil, “l’essenza di Econyl sta proprio nel ridurre progressivamente la quantità di rifiuti del nostro pianeta, recuperandoli e rigenerandoli, per inserirli nuovamente nel ciclo produttivo, quali materie prime di qualità con caratteristiche pari al prodotto vergine”. Il processo seguito, chiamato Econyl Regeneration System, è piuttosto lungo e complicato, ed è suddiviso in sei step. Prima di tutto si recupera il materiale, quindi il nylon, in località differenti, sparse in tutto il mondo.