Ambiente

Packaging edibile per un pasto a impatto zero

Un fronte caldo della guerra contro l’inquinamento è quello del packaging. Contro l’inquinamento dovuto alla dispersione degli imballaggi dei cibi, dei piatti, dei bicchieri, delle posate, accanto all’utilizzo delle bioplastiche, facilmente biodegradabili, si stanno sviluppando sempre di più nuovi prodotti che possono essere mangiati insieme ai cibi che contengono: il contenitore diventa quindi commestibile così come gli strumenti che normalmente e quotidianamente utilizziamo per consumare i nostri pasti.

 

Inquinamento e nocività, quando il packaging è pericoloso

I due problemi principali relativi all’uso del packaging alimentare sono l’inquinamento dovuto alla dispersione nell’ambiente di materiali inquinanti e la nocività di alcuni materiali a contatto con gli alimenti. Alcuni dati ci possono far riflettere sull’emergenza che nasce da questo settore: basti pensare che ogni ora gli americani gettano via 2,5 milioni di bottiglie di plastica e che nel 2010, secondo l’Environmental Protection Agency, sono finiti nelle discariche degli Stati Uniti ben 14 milioni di tonnellate di contenitori in plastica e imballaggi. E ancora, in uno studio condotto da National Geographic, è stato accertato che sempre nel 2010 circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica sono finiti in mare, un importo destinato ad aumentare di dieci volte nei prossimi dieci anni se non saranno apportate sostanziali modifiche alla raccolta e la gestione dei rifiuti. Gli imballaggi di plastica si trovano ovunque: galleggiano nel mare aperto, sono sepolti nel ghiaccio artico e vengono ingeriti con conseguenze mortali per circa 700 specie di fauna marina e con un pericoloso impatto anche sull’uomo che si ciba di pesci abituati ad alimentarsi in acque inquinate da questi prodotti. In Italia si produrrebbero ben 34 chilogrammi di rifiuti da imballaggio a testa ogni anno. Inoltre, da un recente allarme lanciato da alcuni ricercatori, tra cui Jane Munckel, della svizzera Food Packaging Forum Foundation, in un articolo pubblicato dal Journal of Epidemology and Community Health, è difficile attualmente valutare gli effetti sulla salute dovuti ai decenni di esposizione alle quattromila sostanze chimiche che vengono a contatto con i cibi nei processi di trasformazione industriale e nel packaging alimentare. Questo perché al momento non esistono gruppi di controllo per effettuare uno studio attendibile in quanto non ci sono persone che non siano state esposte a prodotti alimentari confezionati, trasformati e conservati.

 

Dalla Florida confezioni di birra che i pesci possono mangiare

Arriva dalla Florida, grazie al birrificio SaltWater, un’idea che potrebbe rivoluzionare il mondo della birra, tanto che già altri 50 birrifici hanno chiesto informazioni a riguardo e che anche un colosso come Carlsberg sembra interessato a sviluppare qualcosa di simile nei suoi laboratori. Si tratta dei sei cerchi che vengono usati per tenere insieme le lattine della birracfb06f40-8f6a-435d-85ae-798f48d2dde9 e che sino ad ora erano realizzati in plastica tradizionale o, al massimo, in materiali decisamente più green, come plastica riciclabile o cartone, ma che non riducevano il pericolo che gli animali acquatici vi rimanessero incastrati o li ingerissero. Questi cerchi invece sono composti dagli scarti del grano e dell’orzo – sottoprodotti naturali del processo di produzione della birra – e possono essere tranquillamente ingeriti da tartarughe, pesci e dagli altri animali marini. L’idea del birrificio quindi può diventare una soluzione pragmatica per diminuire l’impatto dei rifiuti dovuti al processo di fermentazione e allo stesso tempo combattere il crescente problema dell’inquinamento degli oceani dovuto alla plastica. L’imballaggio inizia a disintegrarsi nel giro di due ore dal momento in cui entra nel mare, impedendo così a pesci o altri animali marini di rimanere bloccati negli anelli. Ci vogliono invece due o tre mesi circa perché gli anelli scompaiano completamente nel mare e una simile quantità di tempo perché si decompongano se lasciati sulla spiaggia, anche se questo dato varia leggermente a seconda del terreno, della composizione, dell’umidità e della temperatura. Secondo Marco Vega, cofondatore dell’agenzia di comunicazione We Believers, partner del progetto, si stima che “il lotto prodotto nella serie iniziale avrà un costo di circa 25 centesimi per unità, circa 10 centesimi in più rispetto gli anelli di plastica riciclabile che attualmente la SaltWater già usa. Se la maggior parte dei produttori di birra artigianale e le grandi aziende di birra implementeranno questa tecnologia, il costo di produzione cadrà ed essa diventerà molto competitiva”. Il primo lotto di 500 pacchi di anelli è stato prodotto con stampi di plastica realizzati grazie a una stampante 3D. Poiché tale tecnologia non è però adatta per la produzione di massa, la SaltWater sta sviluppando stampi di metallo in grado di sfornare 400mila unità al mese.

 

Soluzioni green anche per le nostre tavole

Soluzioni di packaging edibile sono da anni allo studio anche per la nostra tavola, come le sperimentazioni per rendere edibili tutti gli strumenti che usiamo per alimentarci, dai piatti ai bicchieri alle posate. La startup francostatunitense WikiFood ha immesso nel mercato una particolare pellicola, chiamata WikiPearl. Per capire di cosa si tratta, possiamo immaginare l’involucro di un chicco d’uva e di una noce di cocco. Sono due i livelli di packaging realizzati. Il primo strato è una pelle morbida, come appunto quella di un chicco di uva passa. Questo strato è composto da tre componenti principali: minuscole particelle di cibo naturale (come cioccolato, frutta, noci o semi), un elemento derivante dal calcio e una molecola naturale come il chitosano (che viene dal corpo) o l’alginato (che proviene dalle alghe). Quando si mescolano, queste tre cose insieme formano un gel elettrostatico che mantiene l’acqua all’interno del cibo o delle bevande. Il secondo livello, un guscio protettivo, è simile alla confezione di cartone delle uova. Può essere completamente commestibile (nel qual caso si può lavarlo come si fa con una mela) o completamente biodegradabile (in questo caso è possibile sbucciare la pallina di cibo e buttare via l’involucro). La tecnologia WikiFood protegge il cibo o la bevanda senza esporli a materiali innaturali o a sostanze chimiche assicurando così anche benefici alla salute. WikiPearl viene usato per vendere palline di gelato o frozen yogurt, oltre che formaggi e palline di frutta e verdura. Anche le grandi aziende hanno sperimentato nel settore del packaging e degli strumenti alimentari, con alterne fortune, a partire dalla Lavazza, che alcuni anni or sono aveva lanciato la Cookie Cup, una tazzina di pasta frolla rivestita da una speciale glassa di zucchero, adatta a resistere alle alte temperature del caffè, un’idea nata dalla collaborazione tra il designer Enrique Sardi, il pasticcere Lello Parisi e il Team Lavazza, e che attualmente è in vendita solo nel coffee store torinese San Tommaso 10. Attualmente in commercio sono davvero molti i prodotti offerti a chi voglia rendere anche l’esperienza del pasto a impatto zero. Intanto, una proposta tutta italiana è quella dell’azienda Trentuno di Rovereto e il suo piatto Pappami. Si tratta di un piatto realizzato con ingredienti simili a quelli del pane, caratterizzato da una corolla di petali pre-incisi che si possono facilmente staccare e gustare insieme alla pietanza. Può contenere sino a 300 cc di cibi solidi e liquidi, può essere surgelato, congelato e utilizzato nel forno a microonde ed è facilmente smaltibile come rifiuto organico. La fecola di patate è invece l’ingrediente principale con il quale vengono realizzati i contenitori Do Eat, partoriti dalla creatività di due giovani ex studenti della scuola superiore delle arti di Mons, in Belgio: Hélène Hoyois, diplomata in arte, e Thibaut Gilquin, specializzato in architettura d’interni. Questi contenitori sono proposti in quattro differenti forme, ma possono essere realizzati su misura a seconda delle richieste dei clienti. Anche le posate possono diventare edibili, a partire dai famosissimi e golosi cucchiai al cioccolato fondente della Lindt. Sono invece in mais con aggiunta di farina, lievito, zucchero, sale, uova, latte, spezie ed erbe gli Edible Spoon della società statunitense Triangle Tree, che sono venduti insieme a un apposito elettrodomestico per realizzarli a casa. Arrivano invece dall’India i cucchiaini di Bakeys, realizzati con farina di riso, miglio e grano. Ci sono cucchiaini commestibili speziati in diversi gusti, come zenzero, cumino, sedano, pepe, carota e ci sono quelli dal gusto neutro. I cucchiaini sono vegan, non contengono Ogm ma contengono glutine, quindi al momento non sono adatti agli intolleranti. Dai piatti e dalle posate si passa ai bicchieri. 50d73c37-dd76-4b0e-ab95-7c021a43d9bdEd ecco allora i bicchieri Loliware, composti da alghe, edulcoranti organici e sapori e colori derivanti da frutta e verdura. Completamente naturale, 100% gluten-free, Ogm free, Bpa free, senza plastica, approvato dalla Food and Drug Administration, è attualmente disponibile in 5 gusti: Yuzu Citrus (limone), Tart Cherry (crostata di ciliegie), Matcha Green Tea (The verde), Vanilla Bean (vaniglia), neutro.

 

Nuovi progetti per una tavola sempre più sostenibile

Ma designer e studiosi non si fermano qui. Ari Jónsson, studente di design dell’Accademia islandese delle arti, ha presentato, in occasione dell’ultimo Festival del design svoltosi a Reykjavik dal 10 al 13 marzo, un materiale alternativo alla plastica per realizzare le bottiglie dell’acqua. Gli ingredienti utilizzati sono solo due ed entrambi naturali al 100%: acqua e alghe rosse, in particolare una polvere derivata dall’agar agar. La bottiglia mantiene la sua forma fino a quando contiene acqua, poi inizia a decomporsi; essendo costituita da ingredienti naturali e sicuri, inoltre, può essere mangiata dopo l’uso. Un altro progetto interessante è quello dell’italiano Riccardo De Leo che nel 2015 ha vinto un premio al congresso della European Federation of Food Science and Technology svoltosi in Svezia. Il suo studio verteva sulla realizzazione di una pellicola alimentare 100% biodegradabile e, volendo, anche edibile, che risparmierebbe all’ambiente circa 630mila tonnellate annue di rifiuti.

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