Le api sentinelle dell’ambiente e della biodiversità
Una vera e propria “autostrada” delle api è stata inaugurata il 21 e 22 maggio a Panicale, nei pressi di Perugia, in una manifestazione dedicata tutta al mondo delle api e al loro ruolo nella difesa dell’ambiente e nella sopravvivenza della biodiversità nel nostro Paese.
Un’autostrada dedicata alle api
Nel cuore dell’Umbria parte così il primo tratto italiano dell’autostrada delle api, un giardino pensato e realizzato con i fiori adatti per salvaguardare questi preziosissimi insetti. L’idea nasce dalla cooperativa sociale onlus “Effetto Natura” e dal Comune di Panicale, in accordo con l’associazione norvegese Bybi, la prima ad aver fatto partire l’autostrada dalla città di Oslo, in Norvegia. Qui, infatti, già nel 2015 sono stati piantati, a circa 250 metri di distanza gli uni dagli altri, gruppi di piante utili alla vita delle api, un vero e proprio corridoio verde che attraversa tutta la capitale norvegese con “stazioni di polline” per api, calabroni e vespe. “L’idea è di creare un percorso attraverso la città con stazioni di alimentazione per gli insetti lungo tutta la strada che esse percorrono per approvvigionarsi di polline”, ha spiegato Tonje Waaktaar Gamst della Oslo Garden Society, aggiungendo che “avere a disposizione cibo a sufficienza aiuterà anche le api e i calabroni a sopportare lo stress ambientale artificiale molto meglio”.
Tante funzioni per un piccolo insetto
Così piccoli, a volte fastidiosi, per alcuni un po’ spaventosi, se si pensa a coloro che soffrono di melissofobia, cioè della paura delle api, questi insetti hanno in realtà un ruolo fondamentale a livello ambientale. Intanto, grazie al miele che producono, sono una fonte di alimentazione per loro stessi, per gli animali e per le persone. Poi, attraverso l’impollinazione, consentono la crescita di numerose specie vegetali: basti pensare che, secondo uno studio della Fao, delle cento specie di colture che forniscono il 90% di prodotti alimentari in tutto il mondo, 71 sono impollinate dalle api.
Senza la instancabile attività di impollinazione delle api, non ci sarebbe, ad esempio, la frutta. E ancora, in base ad una ricerca condotta dall’Inra (Istituto nazionale di ricerca agronomica) per analizzare il ruolo essenziale delle api nel mantenimento della biodiversità, il 35% della quantità della nostra alimentazione e il 65% della sua diversità dipende dal loro processo di impollinazione. Per questo, l’importanza delle api non è solo ecologica ma anche economica: sono il terzo animale da reddito più importante del mondo, venendo subito dopo i bovini, in prima posizione, e i suini, in seconda, ma prima dei polli, che sono quarti. Ma c’è anche un altro aspetto: le api sono degli ottimi indicatori biologici perché segnalano il danno chimico dell’ambiente in cui vivono, attraverso l’alta mortalità, nel caso dei pesticidi, e attraverso i residui che si possono riscontrare nei loro corpi, o nei prodotti dell’alveare, nel caso degli antiparassitari e di altri agenti inquinanti, come i metalli pesanti e i radionuclidi, rilevati tramite analisi di laboratorio. Nell’ottobre 2015, ad esempio, quattro arnie sono state utilizzate come una vera e propria stazione di bio-monitoraggio per verificare i possibili inquinanti provenienti dalla discarica “La Cornacchia” nel comune di Maiolati Spontini in provincia di Ancona, in particolare per segnalare eventuali stress ambientali da inquinamento chimico dovuto a prodotti fitosanitari, metalli pesanti e radionuclidi.
Una specie a rischio di estinzione
A partire dal 2006 ha avuto inizio quella che è stata denominata “sindrome dello spopolamento degli alveari”, un fenomeno ancora poco studiato a per il quale interi alveari periscono improvvisamente. Riscontrata inizialmente negli Stati Uniti, questa sindrome è poi stata osservata anche in altri paesi, dalla Francia all’Inghilterra, dalla Spagna al Portogallo per arrivare sino a casa nostra. Solo negli Usa, ad esempio, il numero degli alveari statunitensi è sceso dai 5,5 milioni del 1961 ai 2,5 milioni del 2012.Tra le cause di tale moria sono stati individuati i cambiamenti climatici, l’inquinamento e, primo fra tutti, l’uso indiscriminato dei pesticidi. Secondo alcuni recenti studi, oltre alla pericolosità dei neonicotinoidi, che sono insetticidi sistemici, presenti cioè per tutta la vita della pianta coltivata, a essere sotto accusa ora è anche il chlorpyrifos, nocivo alle api anche a dosi sub-letali. Tale prodotto dunque arriverebbe a uccidere le api ma inciderebbe pesantemente sulla loro memoria. Come spiega il sito di Focus, per contribuire alla vita della colonia, l’insetto deve avere nel cervello una mappa aggiornata e precisa dei fiori che ha già visitato e di quelli che deve ancora controllare alla ricerca del nettare. Dosi anche più basse di chlorpyrifos rallentano l’apprendimento e riducono la specificità dei ricordi. Un ulteriore problema per le api sono poi le specie predatrici e i parassiti, come ad esempio la varroa. Per anni la paura è stata dunque quella di assistere a una vera e propria estinzione di questi insetti. Ancora nel mese di febbraio è uscito un rapporto delle Nazioni Unite secondo il quale molte specie di api selvatiche, farfalle e altre creature che impollinano le piante sono sulla strada dell’estinzione (circa 2 specie su 5). E gli insetti selvatici, in questo caso, starebbero peggio dei loro omologhi allevati. Uno dei principali problemi, secondo Simon Potts, uno degli autori del rapporto, è che soprattutto negli Stati Uniti grandi quantità dei terreni agricoli vengono dedicate alla coltura esclusiva e intensiva di poche specie vegetali, portando alla quasi completa eliminazione dei fiori selvatici di campo. Api e calabroni selvatici si sono sempre ambientati bene nelle grandi praterie, di solito ricche di tipi diversi di fiori ed erbe. Ma ormai, ad esempio in Europa, il 97% dei pascoli sono scomparsi già a partire dalla Seconda Guerra mondiale.
Tanti progetti per difendere e aiutare le api
Per evitare che si avveri quella che è vista come una profezia anticipata addirittura da Albert Einstein quando disse che “se l’ape scomparisse dalla faccia della terra all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”, sono davvero molti i progetti che sono stati lanciati negli ultimi anni a protezione delle api e della loro operosità. Negli Stati Uniti, in particolare a New York, a partire dal 2010 si è sviluppato il cosiddetto “miele da balcone” grazie all’aumento vertiginoso del numero di apicoltori urbani. Già nel 2011 Parigi ha visto popolarsi i suoi tetti con circa 300 arnie, posizionate tra i tetti dell’Opéra Garnier, il Parc Monceau, i Giardini di Lussemburgo e il parco Georges Brassens. Ora le api sono arrivate anche a Torino: sei arnie sono state infatti installate sui tetti di Environment Park, il Parco Tecnologico nel centro della città, e saranno utilizzate per produrre miele cittadino e per monitorare l’ambiente urbano e le biodiversità vegetali esistenti nel capoluogo piemontese. Il progetto nasce grazie a UrBees che da anni si occupa di apicoltura urbana attraverso l’installazione periodica di apiari in spazi pubblici e privati. Così, già da tempo, nei negozi di alimentari torinesi non è strano trovare in vendita vasetti di miele prodotto sui balconi o nei giardini, e con grande sorpresa si tratta di miele di ottima qualità. Questo perché le piante che si trovano nelle città non sono coltivate per produrre alimenti e quindi, nella maggior parte dei casi, non subiscono trattamenti intensivi a base di pesticidi e fitosanitari. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Urban Ecology, poi, le api hanno una capacità sicuramente maggiore delle persone di regolare la propria alimentazione e indirizzarsi verso cibi sani: quando gli alimenti naturali sono una delle scelte, le api di solito optano per quella più sana. La paura dei ricercatori, e ancora di più degli apicoltori, era che le api, davanti alla grande quantità di cibo spazzatura lasciato nei cassonetti e di alimenti ricchi di zuccheri raffinati presenti nelle immondizie delle città, scegliessero per comodità tali alimenti andando a far scadere nettamente la qualità del miele prodotto. In realtà lo studio ha dimostrato che non vi sono differenze nel comportamento tra api urbane e selvagge e che le api preferiscono sempre e comunque il vero nettare dei fiori fino a quando esso è disponibile. Ciò sottolinea la fondamentale importanza nel salvaguardare gli spazi verdi urbani anche in funzione dell’impollinazione e della salute delle api di città.
Scenari apocalittici da evitare
Tutti i progetti nati e sviluppati per aiutare il ripopolamento e la salute delle api serviranno di certo ad impedire una pericolosa china che in alcune zone del Pianeta si sta paurosamente prendendo. Un esempio è quello della Cina. Nella contea cinese di Hanyuan, all’interno della provincia di Sichuan, infatti, gli agricoltori sono costretti da anni a effettuare l’impollinazione degli alberi a mano. Da tempo qui le api sono morte a causa dello sconsiderato uso e abuso di sostanze chimiche. È davvero irreale la foto postata da Wired nella quale si vede una donna impollinatrice impegnata ad andare di albero in albero per sostituirsi al lavoro normalmente svoto alla perfezione dalle api. Ma ancor più inquietante il progetto seguito da studiosi di Harvard e della Northeastern University: si tratta di RoboBee, un modello di ape robotica. L’obiettivo è quello di arrivare a creare mini-robot capaci di volare, di lavorare in gruppo e di collaborare, proprio come le api negli alveari, e di dotare tali robot di uno strumento che permetterebbe loro di trasportare il polline di fiore in fiore sostituendosi così alle api vere.