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Carne rossa, la Danimarca tassa la bistecca

Guerra alla carne rossa. L’ha dichiarata la Danimarca e sembra che per gli amanti di una buona grigliata si stiano preparando tempi duri: il Consiglio danese sull’etica infatti, costituito grazie ad una legge del parlamento danese nel 1987 per animare il dibattito pubblico con “consigli e informazioni riguardanti problemi etici”, ritiene che sia un obbligo etico per i cittadini quello di minimizzare il proprio impatto sul clima e ha pensato di affrontare la questione disincentivando il consumo di carne, rendendolo economicamente svantaggioso tassandone il prezzo al consumo. Dopo una prima applicazione solo alla carne rossa, la tassa decisa verrebbe estesa agli altri cibi, a seconda dell’impatto climatico di ciascun elemento. Il Consiglio etico che non ha dubbi: tagliare il consumo di questo alimento non può che fare bene, anche alla salute. Certo, immaginate improvvisamente di dovere pagare una tassa sulla bistecca. La proposta da noi non avrebbe vita facile. Ma considerando che l’allevamento dei bovini copre circa il 10% delle emissioni globali di gas serra, nonché il consumo di 43mila litri di acqua per ogni chilogrammo di carne che arriva sulle nostre tavole, la tassa non può che essere considerata una spinta verso comportamenti più sostenibili. Così la pensa Mickey Gjerris, portavoce del Consiglio: «Una risposta efficace all’emergenza climatica include anche una politica relativa al consumo dei cibi più inquinanti, che contribuisca a creare consapevolezza sul tema. La società deve mandare un segnale chiaro attraverso la legislazione». La proposta è ora al vaglio del governo. «Lo stile di vita degli abitanti della Danimarca è ancora lontano dall’essere definito “sostenibile” e ben lontano dal modello di sostenibilità che ci viene richiesto se vogliamo attenerci agli obiettivi dell’accordo di Parigi, visto che dobbiamo impedire l’innalzamento delle temperature oltre i 2°C; è quindi necessario agire velocemente e coinvolgere nel cambiamento anche il cibo», afferma il Concilio. I danesi, dunque, sarebbero “eticamente obbligati” a trasformare le loro abitudini alimentari: tra l’altro, secondo gli esperti, tagliare fuori dalla dieta la carne non sarebbe affatto un problema, dal momento che si potrebbe sostituirla con altri cibi sani e nutrienti.

 

L’inquinamento da carne rossa

Già nel 2006 un rapporto della Fao aveva evidenziato come i gas serra prodotti dall’allevamento fossero superiori a quelli del settore dei trasporti. E da allora gli studi in materia si sono moltiplicati. Un recente articolo apparso su Business Insider ha calcolato la produzione di CO2 per i vari tipi di carne mettendoli a confronto con la produzione di proteine vegetali. Un chilo di agnello porta quindi con sé una parallela produzione di 39,2 kg di CO2 (l’equivalente di un viaggio in auto di almeno 140 km). Le lenticchie invece? Siamo sotto al chilo. La situazione non migliora se si pensa all’acqua. Il cibo ricavato dagli animali ne consuma almeno da 5 a 10 volte di più di quella che serve ad un’alimentazione vegetale: se per 1 kg di carne bovina sono necessari non meno di 15mila litri di acqua (più o meno l’equivalente di 110 vasche da bagno), ne servono circa 6 mila per un chilo di maiale, mentre per 1 kg di riso ne sono sufficienti poco più di 2.500. Per i vegetali in generale il rapporto acqua-calorie è di 1,34 al litro: la metà della carne di pollo, quasi dieci volte di meno se si prende in considerazione il manzo. Passando al “consumo di suolo”, secondo un calcolo fatto considerando non solo lo spazio occupato dagli allevamenti, ma anche dalla coltivazione di vegetali necessari al sostentamento degli animali (secondo le statistiche della Fao, il 50% della produzione mondiale di cereali ed il 90% di quella di soia sono destinate al bestiame come mangimi) l’industria alimentare sfrutta ad oggi circa il 40% dello spazio disponibile sulla Terra. Un esempio su tutti: la foresta Amazzonica, in cui l’88% del territorio disboscato è stato adibito a pascolo. Senza contare l’altra pesante conseguenza degli allevamenti: le deiezioni del bestiame. Una sola vacca da latte ne produce più o meno quanto una trentina di persone.

 

Il costo della bistecca

Dunque, tutto sommato, da oggi la bistecca potrebbe essere salata, non tanto per il condimento quanto per il costo, economico e ambientale. Nonostante le apparenze, però, secondo il comitato ci sono validi guadagni: la salute dell’uomo e della Terra. Per alcuni questa proposta destabilizza le abitudini culinarie della Danimarca, dove il ricettario prevede un considerevole consumo di carne rossa, e divide l’opinione pubblica dai produttori ai consumatori. Il comitato etico danese si impegna per migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini proponendo un’idea concreta per invertire la marcia, nessuna misura drastica, una proposta moderata per stimolare una mentalità più verde e salubre. Se il comitato etico non ha dubbi, gli allevatori e il consiglio alimentare non sostengono la causa e intravedono nel provvedimento una perdita economica con scarsi risultati anche per la tutela dell’ambiente. Una reazione prevedibile, la goccia nell’oceano è sempre una questione di punti di vista e soprattutto dove la porta la corrente. Costi e benefici valutati con diversi pesi e misure, eppure siamo di fronte a una proposta moderata che non cambierebbe la sorte del settore e della cucina danese. Tutto ha un prezzo, basta esserne coscienti per una scelta consapevole. Mentre le associazioni di allevatori dunque protestano, il portavoce del Concilio, Mickey Gjerris, è convinto che la tassa possa essere davvero utile: «Tramite questo regolamento – afferma – la società manda un chiaro segnale della necessità di fare prevenzione sul tema del cambiamento climatico». La proposta potrebbe comunque incontrare il favore di molti nella piccola Danimarca, dove la sensibilità ai problemi ambientali è molto alta. Più di un terzo dei residenti della capitale, Copenhagen, va al lavoro in bicicletta e solo il 30 per cento possiede un’automobile. Il governo, inoltre, vuole rendere il paese indipendente dai combustibili fossili entro il 2050. Il Comitato danese per l’agricoltura però ha protestato, argomentando che gli effetti sul clima «sarebbero minimi a fronte di una riorganizzazione massiccia dell’industria alimentare».