“La biodiversità inizia in un lontanopassato e punta verso il futuro”, lo sostiene Frans Lanting, celebre fotografo naturalista. Sicuramente, oggi più che mai, sembra essenziale comprendere quanto la tutela della biodiversità non sia e non debba essere solo una pratica per “ambientalisti” o associazioni non governative e volontarie, ma deve diventare un obiettivo comune in tutta la società, e per questo è cruciale diffondere la conoscenza nelle scuole e nel grande pubblico. Ma cosa vuol dire “biodiversità”? Nel 1992, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e sullo sviluppo, arriva la prima definizione di biodiversità: «L’espressione “diversità biologica” significa la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, e i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell’ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi». Questa definizione appartiene all’articolo 2 della Convenzione della Diversità Biologica, siglata dagli Stati membri che si impegnano a cooperare per la conservazione e l’utilizzazione durevole della biodiversità. Incorporare la diversità biologica nelle strategie e nei programmi nazionali e internazionali è stato il tema del 2016 per la Giornata Mondiale della Biodiversità; nell’anno in cui questo evento compie ben 16 anni, si continua tristemente a fare i conti con le specie in via di estinzione, con i paradisi naturali assediati dal cemento, o con i parchi a rischio piano regolatore per costruire centri commerciali. Secondo il dossier di Legambiente del 2015, in Europa, il 60% delle specie e il 77% degli habitat si trovavano in uno stato di conservazione non favorevole e non sembravano capaci di centrare l’obiettivo generale, cioè quello di fermare la perdita di biodiversità entro il 2020.
Biodiversità all’italiana
Per valutare lo stato della biodiversità nel nostro Paese, sono stati studiati molti campioni rappresentativi di habitat diversi: terre emerse, acque dolci e mari. Sono stati studiati, quindi, alcuni animali appartenenti a questi habitat, spugne, coralli, squali, razze, coleotteri, libellule, farfalle, pesci d’acqua dolce, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Il risultato è che sul totale delle specie, purtroppo,circa un quinto del totale, sono a rischio di estinzione. Per alcune, in particolare invertebrati o animali di ambiente marino, il rischio di estinzione è ancora ignoto, a dimostrazione del fatto che, su questi aspetti, c’è ancora molto da scoprire. Il tutto mentre secondo il rapporto Ecotour sul Turismo Natura, ovvero il turismo naturalistico nelle strutture ricettive all’interno delle aree protette, ha superato quota 100 milioni di presenze, con un fatturato di oltre 11 miliardi di Euro. Il paese dove viviamo ha dunque il più ricco patrimonio di biodiversità europeo: il 30% di specie animali (58mila) e quasi il 50% di quelle vegetali (circa 8mila), ma purtroppo di tutto questo «oltre il 20% delle specie è a rischio estinzione» dice ancora Legambiente. Quanto vale la perdita di specie animali e vegetali? Sempre secondo Legambiente, la perdita della diversità in natura costa all’Unione europea circa 450 miliardi l’anno, cioè il 3% del Pil, a causa dell’inquinamento di acqua e aria pulita e della diminuzione di terreno coltivabile e di cibo. A proposito di cibo, anche la biodiversità delle sementi è a rischio. Nell’ultimo rapporto di Assosementi il 21% delle specie vegetali è in pericolo di estinzione e il rischio è che «venga a ridursi un’ampia base genetica che possa garantire l’innovazione delle varietà: fondamentale per la biodiversità». Dalla ricchezza data dalla biodiversità all’impoverimento causato dalla sua mancanza il passo è davvero breve.
Il Pil della diversità
Tanto per capire meglio, quest’anno il Wwf ha compilato un dossier su quanto valga economicamente la biodiversità, in Italia e nel mondo: perché un parco, un’area protetta, un pezzo di agricoltura sostenibile possono e devono essere un modo per ridare vita e lavoro a intere zone del pianeta. Difendere la biodiversità e le specie come elefanti, rinoceronti, gorilla, tigri e leoni si potrebbe tradurre quindi in un vero e proprio investimento economico oltre che in un’assicurazione sulla nostra vita futura e sul nostro benessere, perché le complesse reti degli ecosistemi e le specie che li abitano sono la garanzia per una serie incredibile di servizi, quotidiani e gratuiti, che la natura offre al nostro sviluppo (dalla rigenerazione dei suoli, alla fotosintesi, ai regimi idrici, alla composizione chimica dell’atmosfera, ad esempio). Molte specie, se protette dal bracconaggio e dalla distruzione degli habitat, possono rappresentare un vero volano di sviluppo per le popolazioni locali, sia per il loro straordinario ruolo di “specie chiave” (quelle che gli studiosi definiscono appunto Keystone species) per un ecosistema particolare sia per il significativo indotto economico che possono produrre. Il turismo, che è una componente importante dei servizi ecosistemici ricreativi e culturali, è infatti oggi riconosciuto come un fattore fondamentale per lo sviluppo del 90% dei paesi ricchi di biodiversità ma in gravi situazioni economiche ed un settore cruciale per contribuire all’eradicazione della povertà. La natura dà la possibilità a moltissime persone di lavorare: tanto per parlare di cifre, il Pil generato per attività legate alla natura è almeno di 145 miliardi di dollari all’anno, il doppio del Pil mondiale. La biodiversità attira turismo, tanto che si è fatta una stima di quanto possano valere in termini economici gli animali protetti nei parchi naturali: un leone, per esempio, vale almeno 500mila dollari in un anno. Il gorilla, invece, non vale meno di 100mila dollari all’anno. Il turismo delle zone protette è un business, un affare economico internazionale, un motivo in più per proteggere la popolazione animale a rischio di estinzione. Chissà che almeno questo non possa servire da stimolo per molte persone, per “puntare verso il futuro”.