Environmental art, se l’arte ha una coscienza green
Enviromental art. Quando l’arte può essere da stimolo nell’attuale dibattito sui cambiamenti climatici e sui problemi dell’inquinamento grazie a quegli artisti che mettono nelle loro opere una aperta critica agli stili di vita delle nostre società: ecco in questo caso si può parlare di environmental art.
Arte e natura, un rapporto creativo
In un senso generale, la environmental art è quell’arte che aiuta a sviluppare la nostra relazione con la natura. La maggior parte delle opere che fanno parte di questa corrente artistica è effimera (quindi realizzata e poi fatta sparire o trasformata), progettata per un luogo particolare (quindi non può essere spostata) o comporta collaborazioni tra artisti e altri soggetti, come scienziati, educatori o gruppi di comunità (dunque di proprietà distribuita). Obiettivi e funzioni della environmental art possono essere differenti: creare opere d’arte alimentate da elementi naturali come il vento, l’acqua, i fulmini; immaginare in modo nuovo il nostro rapporto con la natura proponendo nuovi modi per coesistere con il nostro ambiente; recuperare e riparare ambienti danneggiati ripristinando ecosistemi in modo artistico; interpretare la natura e i suoi processi educando sui problemi ambientali. Fanno parte dunque della environmental art movimenti differenti come il Romanticismo, che celebra la bellezza e la grandezza della natura e delle persone che sono connesse con essa, l’Eco-realismo, che espone l’orrore e l’ingiustizia derivanti dall’inquinamento umano e dai danni ambientali, la Gaia Art, che crea collegamenti spirituali con l’ambiente attraverso un originale simbolismo.
Dai cambiamenti climatici all’inquinamento: environmenal art a tutto tondo
In questi ultimi anni la environmental art sta sviluppando una nuova corrente rappresentata da artisti che vogliono mettere sotto la luce dei riflettori il problema dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. Tra di essi ci sono Olafur Eliasson, Shepard Fairey and Tomás Saraceno. Il primo ad aver fatto conoscere questo nuovo sviluppo della environmental art è stato l’artista irlandese John Gerrard, creatore della installazione “Solar Reserve (Tonopah, Nevada) 2014”. Si tratta di un’opera che vuole far riflettere sull’urgenza dell’uso delle energie rinnovabili: una vera e propria simulazione digitale di un impianto di energia solare che produce energia elettrica nel deserto del Nevada. Gerrard crea le sue opere utilizzando algoritmi informatici e considera la scrittura di codici informatici un vero e proprio atto creativo. Questa opera è stata acquistata da Leonardo Di Caprio e donata al Museo d’Arte Los Angeles County. L’attore infatti da tempo sta utilizzando la sua notorietà per porre l’attenzione sul problema dei cambiamenti climatici e ha utilizzato anche questo mezzo, potente e d’impatto, per raggiungere il suo obiettivo. La Conferenza dell’Onu sui Cambiamenti Climatici tenutasi a Parigi nel dicembre del 2015 è stata il palcoscenico per questi artisti, che hanno disseminato la capitale francese di opere ed installazioni. Olafur Eliasson, ad esempio, ha realizzato la sua opera “Ice Watch” per parlare del riscaldamento globale. Ha trasportato un blocco di ghiaccio dalla Groenlandia, l’ha tagliato in pezzi che ha poi posizionato in cerchio nella Place du Panthéon, nel quinto arrondissement di Parigi. Il lavoro di 80 tonnellate si è ovviamente sciolto nel corso del tempo. Tali opere, come già spiegato, sono destinate alla temporaneità, ma grazie al loro essere spesso grandiose e suggestive, sono di enorme impatto. Eliasson, artista danese/islandese, già da anni crea installazioni site-specific e ha costruito la sua carriera proprio sulle sue opere concettuali. Un altro esempio è il suo enorme sole artificiale appeso all’interno del Tate Modern Museum di Londra nel 2003. Anche la pittura, tra le rappresentazioni artistiche più seguite e popolari, può diventare uno strumento di denuncia ed è scelta da numerosi artisti per le possibilità creative che assicura. Il pittore tedesco Christian Hahn, ad esempio, è conosciuto per i suoi dipinti stranianti. Comunemente raffigurano persone di diversa estrazione sociale dipinte in modo molto realistico all’interno di uno sfondo psichedelico che rappresenta l’ambiente. La giustapposizione delle due tecniche rende chiaro che gli uomini e l’ambiente circostante hanno nature molto diverse. E non si può fare a meno di chiedersi se l’uomo, in questo caso, sia il medico che si occupa di risolvere i problemi della natura o sia invece la causa di tali problemi. Notevole poi il lavoro dell’artista americano Chris Jordan, che ormai da anni ha scelto di porre la giusta attenzione sul problema dell’eccessivo consumismo e sulla conseguente emergenza dei rifiuti. Dal 2003 al 2005 Jordan ha realizzato il progetto “Intolerable Beauty: Portraits of American Mass Consumption”. Andando in giro per i porti e i cantieri industriali degli Stati Uniti ha fotografato distese e distese di materiali abbandonati, definendo il loro incredibile accumulo una lenta e progressiva apocalisse: le sue foto mostrano migliaia di cellulari, di transistor, di mozziconi di sigarette, di diodi, di ricariche dei cellulari. Sono di denuncia anche le opere di Bob Johnson, in particolare il progetto chiamato “RiverCubes”. L’artista ha raccolto i detriti nei fiumi locali e ha realizzato con essi delle opere di vera e propria spazzatura da mettere in mostra nelle vicinanze degli stessi fiumi. Il risultato sono cubi davvero brutti fatti di plastica e metallo, ma sono potenti testimonianze su ciò che gli uomini lasciano dopo il loro passaggio.
Anche la natura diventa elemento artistico
Visto lo sviluppo crescente della environmental art e allo stesso tempo la difficoltà di riuscire a raggruppare fisicamente le opere derivanti da questa corrente artistica in un unico luogo, alcuni volontari hanno realizzato il greenmuseum.org, un museo online che racchiude opere provenienti da un centinaio di artisti di tutto il mondo. Tra di loro ci sono davvero tutte le espressioni artistiche, dalla scultura alle arti digitali, dalle installazioni alla pittura. E ci sono tutte le declinazioni di tale arte, in particolare quella dell’utilizzo di materiali provenienti dal mondo naturale per realizzare opere d’arte. Ulrike Arnold, ad esempio, viaggia per il mondo per creare opere astratte site-specific su tela utilizzando pigmenti strappati direttamente dalla terra. I suoi lavori iniziano con lo studio della geologia locale. Quindi l’artista cammina sulla terra, tocca le pietre, poi ne sceglie alcuni campioni e li riduce in una polvere fine che viene a volta mescolata con cera o olio. A questo punto utilizza le mani per trasferire la sua arte su tela. I risultati finali sono dei grandi e colorati quadri che sono vere e proprie storie visive dei territori che ha visitato, dall’Armenia all’Africa, dall’India al sud-ovest degli Stati Uniti. Con sede a New York City, Michele Brody crea installazioni scultoree situate e conosciute non solo negli Stati Uniti ma anche a livello internazionale. Tali sculture uniscono piante, luci, metallo, tessuti e architettura. Le installazioni che Brody realizza vogliono suggerire la fertilità umana, la mortalità e il nostro ruolo di veri e propri amministratori del pianeta Terra, non di proprietari assoluti. Di notevole impatto poi le opere dell’artista svizzero Urs-P. Twellmann. La sua arte denota infatti un rapporto insolitamente produttivo con le forme e i materiali che spesso vengono tagliati e poi riassemblati per creare vere e proprie “poesie visive”. Le sue sculture e installazioni rivelano un alto grado di artigianato nonché un tocco delicato che riesce a presentare la bellezza intrinseca nei materiali offerti dalla natura. “Il mio obiettivo principale – spiega – è la trasformazione. In questo processo, in cui distruzione e creazione diventano tutt’uno, i materiali vengono raccolti e analizzati; sono poi deformati, rotti, divisi e tagliati per diventare forme nuove, disposte in un contesto diverso”.