Inquinamento da farmaci: danni collaterali delle cure
Redazione
Quella dell’inquinamento da farmaci è una questione della quale si sa ancora poco e si discute ancora di meno. La nostra è sempre più una società con maggiore disponibilità e facilità di accesso ai farmaci. Ciò comporta la conseguenza positiva di un miglioramento delle cure e di una longevità davvero impensabile solo alcuni decenni fa, eppure c’è anche un inquietante rovescio della medaglia.
Tutte le vie dell’inquinamento da farmaci
Sono in particolare tre i momenti nei quali si può verificare l’inquinamento da farmaci. Prima di tutto nellafase della produzione, quindi direttamente dagli scarichi delle aziende farmacologiche. Poi nel momento dello smaltimento dei farmaci, sia quelli scaduti che quelli inutilizzati. Uno studio del 2014, realizzato nelle farmacie di Verona e provincia in collaborazione con Federfarma, ha evidenziato come ancora il 22% degli intervistati (che erano i clienti delle farmacie) smaltiva i farmaci scaduti e quelli non utilizzati direttamente nel wc, nel lavandino o nella spazzatura. Molti quindi sono ancora refrattari a utilizzare gli appositi contenitori che ormai qualsiasi farmacia, anche nei paesi più piccoli, mette a disposizione dei clienti. Infine, l’inquinamento da farmaci può derivare dall’eliminazione dei principi attivi dal nostro organismo una volta assunto il farmaco. Attraverso le fognature, le feci e le urine che contengono tracce dei farmaci assunti, raggiungono l’acqua, fiumi, laghi, mari e oceani. Secondo l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) “l’escrezione di farmaci dopo l’uso terapeutico umano e veterinario è la porta principale d’ingresso dei farmaci nell’ambiente ed è una conseguenza inevitabile del consumo di medicinali e pertanto molto più difficile da controllare. I farmaci sono generalmente solubili in acqua e quindi finiscono negli scarichi fognari. Molte sostanze chimiche farmaceutiche non sono degradabili per resistere all’ambiente acido dello stomaco o per avere una lunga durata, e possono penetrare, persistere e diffondersi nell’ambiente, specialmente nelle acque, e ritornare, attraverso la catena alimentare, negli esseri umani”. Di questi problemi si occupa la Ecofarmacovigilanza, una scienza emergente che racchiude – secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – “le attività di rilevazione, valutazione, comprensione e prevenzione degli effetti negativi legati alla presenza dei prodotti farmaceutici nell’ambiente”.
Quantità ed effetti dell’inquinamento da farmaci
Da alcuni anni i progressi della scienza consentono di realizzare studi capaci di verificare la presenza di farmaci nell’ambiente, cosa una volta impossibile, e di valutare dunque la eco-tossicità dei principali prodotti in commercio. Da tali studi è chiaro che non si tratta di concentrazioni altissime, e quindi non parliamo di emergenza immediata, ma di sostanze presenti nell’acqua in concentrazioni molto piccole: nell’ordine dei microgrammi al litro o addirittura nanogrammi al litro. Gli studi quindi si concentrano nel valutare i rischi di una esposizione continua a un basso dosaggio di decine di sostanze attive diverse. I primi risultati di tali ricerche furono quelli derivanti dagli studi di due chimici berlinesi, Thomas Heberer e Hans-Jurgen Stan, che già negli anni Ottanta del secolo scorso, cercando prove di inquinamento di un erbicida nelle acque di laghi e di fiumi, si imbatterono nella presenza di acido clofibrico. Si tratta di una sostanza presente nei farmaci anti-colesterolo. Da quel momento in poi anche altri laboratori notarono la presenza di tale sostanza sia in Europa che nel Nord America. Più recentemente, nel 2011, l’Agenzia Nazionale di Sicurezza Sanitaria Francese ha rilevato come un quarto dei campioni di acqua potabile analizzati contenessero tracce di farmaci, in particolare antiepilettici e ansiolitici. E ancora, concentrandoci sul nostro Paese, una ricerca condotta in Lombardia ha evidenziato la presenza di numerosi farmaci (dagli antibiotici agli antitumorali, dagli antinfiammatori ai diuretici, dagli ansiolitici agli antidepressivi) nelle acque lombarde, nei sedimenti dei fiumi Po, Lambro e Adda e negli acquedotti di Varese e Lodi. Le conseguenze della presenza di tali sostanze nelle acque e nel suolo sono state studiate sugli animali. Sempre secondo l’Aifa, uno studio in Pakistan ha rivelato che gli avvoltoi subiscono gravi danni renali dal consumo delle carcasse di bestiame trattate con questo farmaco. In un periodo di tempo relativamente breve, il numero di avvoltoi è diminuito così drasticamente da renderli una specie in via di estinzione. Un altro esempio è la sterilità delle rane attribuita a tracce di pillole contraccettive orali nelleacque. La presenza di ormoni sessuali femminili (etinilestradiolo) nell’ambiente acquatico sembra provochi mutazioni sessuali nei pesci. È ipotizzabile che gli esseri umani, che sono in cima alla catena alimentare, possano essere interessati dagli inquinanti farmaceutici ambientali. Ancora, due ricerche realizzate sia in Corea che in Cina hanno dimostrato come un comune antidolorifico da banco come l’ibuprofene crei seri danni riproduttivi al pesce del riso; uno studio tedesco ha invece descritto tutti i danni al fegato, ai reni e alle branchie della trota arcobaleno causati dal diclofenac, un antinfiammatorio molto utilizzato. Uno dei problemi più gravi poi è sicuramente quello della dispersione degli antibiotici. In questo caso. Il pericolo principale, infatti, è la resistenza microbica in quanto – come scrivono Bikash Medhi and Rakesh K. Sewal, due farmacologi indiani dell’Institute of Medical Education and Research di Chandigarh, in un editoriale pubblicato sull’Indian Journal of Farmacology – “l’esposizione continua a basse dosi di antibiotici attraverso l’acqua potabile potrebbe condurre infatti a forme di resistenza” combattendo anche i batteri utili all’ecosistema acquatico e contribuendo in questo modo allo sviluppo di pericolosi ceppi resistenti.
L’importanza di sensibilizzare farmacisti e pazienti
Calcolando che in solo dieci anni, dal 2000 al 2010, le prescrizioni di farmaci sono aumentate del 60%, con un incremento annuale che si aggira intorno al 2-3%, e che solo una parte di questo aumento è dovuto all’invecchiamento della popolazione, la prima soluzione al problema dell’inquinamento da farmaci è facilmente individuabile: arrivare ad un uso più responsabile dei farmaci. Questo in due differenti modi: abbattendo notevolmente la quantità di medicinali che restano inutilizzati e che quindi vanno poi a incrementare i rifiuti farmacologici, e diminuendo i farmaci assunti, anche in modi sbagliati e in quantitativi eccessivi, che vanno a creare quella dispersione nelle acque continua e dannosa. Maggiore sensibilità, dunque, viene richiesta anche a medici e farmacisti nel prescrivere medicinali solo in casi davvero necessari e cercando di definire un piano di cura appropriato, con i giusti quantitativi.
Un aiuto dalla ricerca: verso la green pharmacy
Un aiuto per diminuire l’impatto dell’inquinamento da farmaci sta arrivando poi direttamente dalle aziende che si occupano dello sviluppo e della produzione dei medicinali. In Nord Europa si parla ormai di “green pharmacy”, in particolare grazie a movimenti ecologisti che cercano di favorire la produzione e la scelta di farmaci rispettosi dell’ambiente. Dalla “Green and Sustainable Chemistry Conference” che si è svolta a Berlino la prima settimana di aprile è arrivato un importante impegno da parte delle aziende chimiche per lo sviluppo di una “chimica green”, una branca recente della chimica che ha come obiettivo “la creazione di prodotti e l’utilizzo di processi che riducano o eliminino la generazione di sostanze dannose”. I partecipanti alla conferenza di Berlino hanno suggerito di lavorare su soluzioni ecologiche: le sostanze chimiche devono fornire una certa prestazione ma dovrebbero anche essere progettate fin dall’inizio. Il dottor Klaus Kümmerer dell’Università di Lüneburg, ad esempio, sta lavorando nella progettazione di medicinali che siano facilmente biodegradabili dai batteri presenti nell’ambiente. I medicinali gettati nel wc potrebbero dunque essere aggrediti da tali batteri per diventare molecole sicure come l’acqua e l’anidride carbonica. Potrebbe sembrare futuristico ma, in fondo, fino a non molti anni fa chi pensava che si sarebbe effettivamente giunti a realizzare la plastica biodegradabile che oggi invece è una realtà?