Cosa hanno in comune la “doppia elica” del DNA e la foto della Terra vista dalla Luna? Le nostre percezioni sociali e culturali della Natura sono il frutto della forte influenza della dimensione visuale.
“Nature immaginate”, un libro scritto a quattro mani da Massimiano Bucchi (professore di Sociologia della Scienza e Comunicazione della Scienza presso l’Università di Trento) ed Elena Canadelli (assegnista di ricerca in Storia della Scienza presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova), è un libro che racconta come immagini di oggetti specifici siano divenute “convenzioni visive”, icone di temi ricorrenti nell’immaginario visivo quotidiano: la struttura di un atomo, le creature fantastiche della letteratura, elementi naturali ricorrenti nella storia dell’arte.
Nel corso dei secoli, le immagini hanno cambiato il nostro modo di vedere la Natura; chi di noi non ha in mente una qualunque rappresentazione della “marcia del progresso” basata sulle teorie dell’evoluzione di Darwin? Una semplice fila di scimmie e ominidi per spiegare l’evoluzione della specie umana, un “simbolo” universalmente riconosciuto. Come questo, molti altri: il “fungo” atomico, l’equazione di Einstein E=mc2, l’”albero della vita” e così via. Come nascono, dunque, queste “convenzioni visive”?
“Nature Immaginate”, edito da Aboca, ripercorre la storia delle immagini e ne documenta l’impatto sociale e culturale attraverso la pittura, il cinema, il fumetto, la comunicazione pubblicitaria. Il volume, arricchito da 250 fotografie, ripercorre nel dettaglio le immagini che hanno fatto la storia e che sopravvivono ancora oggi nell’immaginario collettivo.
“La foto qui presentata è forse l’immagine più diffusa oggi in ambito pubblico quando si parla di fecondazione assistita, di ricerca sulle cellule staminali e perfino di clonazione. La vediamo regolarmente, con piccole varianti, sui quotidiani, sulle riviste, sul web, alla tv, magari accompagnata da altrettanto classiche immagini di ricercatori in laboratorio, o intenti a osservare al miscroscopio. Eppure non sappiamo chi l’abbia messa originariamente in circolo, né da dove effettivamente venga. Tutto ciò che sappiamo è che proviene da un centro di fecondazione assistita […]”