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Cibo di qualità: la Fao scommette sulle biotecnologie agricole

Saranno le biotecnologie agricole nei prossimi decenni a sconfiggere una volta per tutte la piaga della fame nel mondo, dando la possibilità ai popoli di potersi nutrire con cibo di qualità. Alla Fao ci credono sul serio e non a caso nei giorni scorsi hanno organizzato a Roma, nella sede centrale dell’Agenzia Onu, un simposio ad hoc intitolato: “Il ruolo delle biotecnologie agricole nei sistemi alimentari sostenibili e nutrizione”. Alla tre giorni romana hanno preso parte oltre cinquecento esperti del settore tra scienziati, rappresentanti del governo e della società civile, imprenditori, studenti universitari, associazioni e cooperative di agricoltori.

Non solo Ogm: la scommessa della Fao per un cibo di qualità

La scommessa che si sta facendo a livello globale – e messa sotto i riflettori durante il simposio – è quella di fornire nuovi strumenti agli agricoltori (in particolare a quelli dei Paesi in via di sviluppo) per rendere i terreni di ogni angolo della Terra più produttivi e, allo stesso tempo, di adattare le colture ai cambiamenti climatici in atto. Il tutto all’interno di rigorosi canoni di sostenibilità, perché l’attività agricola è buona solo quando viene svolta nel rispetto dell’ambiente, della natura e dei suoi ritmi. Il simposio ha ruotato intorno a tre temi principali: l’impatto che i cambiamenti climatici stanno avendo sull’agricoltura; la sostenibilità dei vari sistemi alimentari e la buona nutrizione, ovvero la possibilità di arrivare ad avere un cibo di qualità per tutti; e infine il rapporto tra società, istituzioni e agricoltura. Si è trattato di un grande forum aperto a tutti i contributi e la Fao – promuovendo nel corso delle tre giornate dibattiti, dialoghi e scambi di informazione – ha dato un grosso contributo all’approfondimento delle conoscenze in questo particolare segmento del settore agricolo, ancora così poco conosciuto dal grande pubblico. Scendendo più nel dettaglio, il simposio ha concentrato la sua attenzione esattamente sulla vasta gamma di biotecnologie che potrebbero portare a un aumento dei rendimenti di tutte le attività agricole (dalle colture all’allevamento del bestiame, fino alla pesca) e a conferire al cibo una più alta qualità nutrizionale. Ogm, dunque, ma non solo, come ha tenuto a ribadire il direttore generale della Fao, il brasiliano José Graziano da Silva, aprendo i lavori del Simposio: “Occorre un ampio portafoglio di strumenti e approcci per sradicare la fame, combattere ogni forma di malnutrizione e raggiungere un’agricoltura sostenibile. Le biotecnologie agricole, in questo senso, sono una risposta molto più ampia dei semplici Ogm”. E in effetti una buona parte dei tavoli di lavoro della kermesse romana sono stati dedicati alle biotecnologie cosiddette “low tech”, in quanto richiedono tecnologie dai costi relativamente bassi. Fra i vari esempi – già in uso o in fase di sviluppo – si possono fare quello di alcune app progettate per aiutare l’agricoltore a seguire passo passo i processi di fermentazione o per controllare quotidianamente lo stato di salute dei capi di bestiame; e ancora i bio-fertilizzanti, l’inseminazione artificiale, la produzione dei vaccini, i bio-pesticidi e l’uso di marcatori molecolari per facilitare lo sviluppo di nuove varietà e razze animali e vegetali.

Le best practices per un cibo di qualità: una storia di successo

L’obiettivo di fondo del simposio Fao era quello di far capire al mondo l’importanza di rendere disponibili, accessibili e applicabili agli agricoltori non solo le biotecnologie in sé, ma anche la conoscenza e l’innovazione; un passaggio fondamentale per arrivare a realizzare il sogno di un cibo di qualità per tutti. Si è dunque deciso di fornire durante i tre giorni degli esempi virtuosi scelti fior da fiore da piccole realtà sparse nei cinque continenti. Attraverso una serie di presentazioni ed eventi collaterali, i partecipanti al meeting hanno potuto non solo condividere conoscenze, esperienze e best practices su come le biotecnologie contribuiscano a rendere l’agricoltura moderna sostenibile e di qualità, ma hanno anche potuto toccare con mano come le biotecnologie agricole cambino profondamente e in meglio, la vita di chi lavora la terra e quella delle loro famiglie. “Vogliamo fornire esempi concreti – ha detto il direttore da Silva durante i lavori del simposio – di come le moderne biotecnologie possano essere compatibili con i principi di un approccio agroecologico, rendendo l’attività dei contadini più produttiva e allo stesso tempo sostenibile di fronte alle grandi sfide del cambiamento climatico e della crescita della popolazione mondiale”

Nel campo delle colture, fra gli altri, è stato fatto l’esempio degli incrementi di produzione di manioca che si stanno ottenendo in Nigeria e in alcune altre aree dell’Africa subsahariana grazie all’utilizzo dei marcatori molecolari. La manioca di per sé ha una discreta resa e, mediamente, in Africa si riescono a produrre 10,2 tonnellate per ettaro. Per aumentare questa produzione (insufficiente rispetto a una popolazione in continua crescita nell’Africa occidentale) si è cercato di importare altre specie selvatiche di manioca dal Sudamerica. Una diversificazione genetica di questo tipo permette in effetti di rendere il terreno più fertile e di aumentare la produzione. Purtroppo l’altra faccia della medaglia di questo trapianto è quella della proliferazione di particolari parassiti autoctoni dell’Africa che finiscono per uccidere la manioca sudamericana. Neanche il trasporto intercontinentale dei semi e delle talee si è rivelato efficace come soluzione, perché estremamente costoso e con garanzie di successo troppo scarse rispetto ai rischi. Ecco allora che per far fronte a queste problematiche, il National Root Crop Research Institute in Nigeria nel 2004 ha aperto la strada all’uso della biologia cellulare e soprattutto dei marcatori molecolari grazie ai quali si è potuto modificare, irrobustendolo, il germoplasma della manioca selvatica sudamericana rendendola resistente alle malattie causate dai parassiti africani. Migliaia di piantine sono state coltivate e cresciute in laboratorio (su appositi supporti sterili in provette o flaconi) nel Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale in Colombia, che oggi è uno dei più grandi repository al mondo di manioca germoplasma. Il rischio che queste piantine coltivate in modo asettico possano essere attaccate dai parassiti e quindi sviluppare malattie è minimo e non sono quindi soggette alle severe condizioni di quarantena applicate normalmente al trasporto della manioca. Attraverso l’uso di marcatori molecolari – frammenti identificativi del DNA della manioca – gli scienziati sono stati in grado di combinare rapidamente in una nuova varietà di manioca la resistenza alle malattie (ottenuto da una varietà nigeriana) e un alto rendimento anche in caso di siccità (caratteristico della manioca sudamericana).

Si stima che le varietà di manioca migliorate, frutto di queste biotecnologie, potranno migliorare il rendimento della coltivazione in Nigeria, facendolo aumentare dalla attuale media di 14 tonnellate per ettaro a quella di 25 tonnellate per ettaro, con un fatturato aggiuntivo stimato di 1,48 miliardi di dollari all’anno.